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di NINO D’AGOSTINO
LA crisi della giunta regionale si colloca in un momento particolare, non soltanto sul piano economico, ma anche su quello squisitamente politico: le elezioni politiche a breve (tra qualche mese o alla scadenza naturale del 2013 che comunque è alle porte) e quelle regionali del 2015, gli stessi progetti di ridimensionamento delle rappresentanze istituzionali ( dimezzamento dei parlamentari, abolizione delle province) pongono importanti problemi di (ri)posizionamento dei politici all’interno dei futuri assetti di potere che prevedibilmente saranno sempre più stretti.La formazione delle nuova giunta risentirà molto di queste dinamiche, dando luogo a conferme o a nuove alleanze tra parlamentari e componenti della nuova giunta, a presenze negli assessorati e nei vertici dei singoli dipartimenti e degli enti strumentali (Acquedotto lucano, aziende ospedaliere e quant’altro) che saranno strategiche per ridisegnare la mappa del potere in Basilicata.Va dato atto ai politici lucani, a tutti per la verità, della grande capacità di programmare nel lunghissimo periodo (Emilio Colombo docet) il proprio destino, meno , molto meno, quello degli altri.
Per quanto ci riguarda è più interessante capire cosa c’è dietro a questo presumibile rinnovamento dei vertici istituzionali, quali programmi, quali politiche seguiranno all’avvicendamento in corso.
Sarà solo un gioco dei quattro cantoni? O si saprà cogliere l’occasione della crisi per riflettere sulle modalità con cui si sviluppa la politica nella regione? Difficile rispondere a queste domande.
Ciò che appare chiaro è che il dibattito sulle analisi e sul rilancio della politica regionale stenta a decollare: l’attenzione prevalente è concentrata sui posti da occupare, sulla pedine da spostare qua e là.
In realtà, siamo di fronte ad una crisi di credibilità politica, qui come altrove: il nuovo presidente del consiglio, Mario Monti, è il segno di una crisi molto profonda della classe politica.
Si è ricorso sostanzialmente alla soluzione evocata da Carl Schmitt, ossia ad una sovranità imperniata sull’asse presidente della repubblica (Napolitano)-nuovo premier (Monti), sia pure nelle forme democratiche possibili, giustificata da situazioni eccezionalmente sfavorevoli, causate dalla incapacità di fare le riforme, di prendere decisioni coraggiose quanto impopolari, operando in un contesto nazionale, in cui da troppo tempo prevalgono le corporazioni, gli egoismi locali.
Sia detto per inciso: l’enorme debito pubblico italiano è il risultato di una scellerata politica distributiva che ha privilegiato, sia pure in misura diversa, le varie componenti sociali, scaricando sulle nuove generazioni l’onere della sua restituzione, ponendo peraltro un pesante macigno sulla crescita del Paese.
Il grande apprezzamento che sta ricevendo il nuovo presidente del consiglio è la spia, tra l’altro, della voglia di competenza, di qualità professionale, di richiesta di politici civil servant che emerge dalla società.
Queste cose solo apparentemente sono distanti dalle vicende che interessano la composizione della giunta regionale.
La regione nel prossimo futuro dovrà necessariamente fare sacrifici, come e forse più di quelli che dovrà sopportare l’intero Paese. Dover operare con provvedimenti draconiani, facendo leva si una spesa pubblica regionale che passerà in breve tempo dall’attuale 75% del Pil verso un tendenziale 50%, mettendo in discussione servizi, progetti infrastrutturali, sostegni alle imprese, implica una profonda revisione della spesa regionale.
La questione sarà quella di tentare di difendere lo status quo o di apportare cambiamenti significativi alla spesa nella direzione dello sviluppo. Salvare capre e cavoli non esiste. E non è così scontato imboccare la strada della crescita, al di là delle enunciazioni retoriche ,a cui siamo abituati. Uscire dal sottosviluppo è difficilissimo, non fosse altro perché dobbiamo fare i conti con una molteplicità di soggetti e di fattori, non tutti governati dalla politica.
Per evidenti motivi di spazio, ritengo utile soffermarmi sul tema della pubblica amministrazione, data la sua alta incidenza su tutte le altre questioni che caratterizzano la società regionale.
Per dirla alla “Catalano” di arboriana memoria, un sistema che non dà risultati va cambiato. Va ipotizzata una nuova governance che riformi i capisaldi della pubblica amministrazione.
L’idea-guida è eliminare le condizioni che fanno del ceto politico una “casta” , (mi scuso per il termine abusato, ma non riesco a trovarne uno più efficace) e cioè 1, rendere molto limitato il tempo di occupazione dei centri di spesa, dove appunto è possibile organizzare le clientele, e 2, rompere la fratellanza siamese( mi si passi l’espressione) tra politici e burocrati che spesso, date le regole che disciplinano i rapporti tra gli stessi, sono la base della corruzione che caratterizza l’amministrazione pubblica (che non significa tanto o soltanto la riscossione di tangenti, ma anche e soprattutto la possibilità di distribuire le risorse nell’ottica del “do ut des”).
Ciò non significa che il politico non debba fare più politica: la sua passione per la politica la potrà svolgere in tanti altri luoghi attraversati dalla politica, l’importante è non “ affezionarsi troppo” alla gestione dei soldi pubblici.
Last, but not least, occorre darsi finalmente una visione moderna di sviluppo che dia il senso del futuro che si vuole costruire.Negli ultimi trent’anni la Basilicata è stata interessata da eventi economici e territoriali straordinari (la ricostruzione delle aree terremotate, la localizzazione di industrie nazionali che hanno modificato il sistema produttivo ed imposto nuovi vincoli al territorio, la scoperta di importanti giacimenti di petrolio), eventi che vanno messi in ordine in una prospettiva di sviluppo economico e territoriale di lungo periodo.Manca la visione e mancano il metodo (la programmazione), gli strumenti (piano di sviluppo, piano territoriale, piano del lavoro) e la organizzazione della programmazione delle risorse economiche e territoriali, ossia le gambe su cui far muovere la crescita.Non è più tempo delle navigazioni a vista e degli interventi a pioggia, ossia delle leve su cui si è costruito l’attuale “ modello Lucano”.
Al presidente della regione, Vito De Filippo, spetta l’onore e l’onere di farsi promotore del
cambiamento, incominciando dalla costituzione di una giunta che sia il portato dei veri termini, su cui si può uscire dalla crisi.
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