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POTENZA – Proteggere il pm Henry John Woodcock (in foto). Depotenziare l’inchiesta degli ispettori del Ministero di Grazia e giustizia sulla Procura napoletana. Il «vero scopo» delle «illazioni» della carta stampata sugli autori dell’esposto contro il magistrato che ha arrestato Tarantini per aver estorto denaro al presidente del consiglio sarebbe questo. Il «falso scopo», invece, sarebbe quello dei magistrati della Procura della Repubblica di Catanzaro, che cercano di capire se al terzo piano del Palazzo di giustizia di Potenza è esistita davvero una centrale di intelligence deviata. Se si aggiunge che le «illazioni» si alimentano di presunte fughe di notizie il disegno si realizza: inquirenti e giornalisti diventano gli attori di una congiura al rovescio, non per distruggere l’ordine costituito, ma per proteggere un magistrato a scapito di un altro.
È passato al contrattacco, Gaetano Bonomi, dopo aver letto sul Corsera delle consulenze per la figlia dalle «aziende finite sotto inchiesta». Mercoledì nelle cinque ore di interrogatorio a cui si è sottoposto quello delle consulenze sarà stato uno tra cento argomenti di discussione eppure è solo su questo che si è concentrata l’attenzione del quotidiano di via Solferino, una cosa che deve avergli fatto pensare a un attacco personale nei suoi confronti. Così nella tarda mattinata di ieri erano già partiti i telegrammi ai capi delle procure di Catanzaro e Salerno, il secondo competente per le indagini sui sottoposti del primo. Bonomi ha definito «gravissimo» l’episodio. «L’interrogatorio – ha precisato – è stato condotto dai magistrati Giuseppe Borrelli e Simona Rossi, e dal funzionario della squadra mobile di Potenza Barbara Strappato, per cui il responsabile di tale fuga di notizie non può che essere individuato tra queste tre persone». Il sostituto pg di Potenza ha chiesto inoltre «che vengano immediatamente accertate le responsabilità per questa vicenda, che rappresenta l’ennesima prova di mancanza di imparzialità e di terzietà da parte degli investigatori che fino a oggi hanno condotto le indagini». In effetti una prima denuncia-segnalazione nei loro confronti era già partita poco dopo la notifica dell’avviso a rendere interrogatorio. Con quella Bonomi se l’era presa per la riesumazione delle accuse già vagliate da un giudice che nonostante varie opposizioni aveva deciso l’archiviazione della prima inchiesta sulle Toghe lucane, quella dell’ex pm Luigi De Magistris, tanto per capirsi. Dopodichè ha affidato a una breve nota le sue ultime riflessioni sul caso “Toghe lucane bis”.
«Esisteva fino ad alcuni anni fa in artiglieria un istituto Denominato “falso scopo”». Bonomi spiega che «si trattava del punto di riferimento al quale era necessario fare ricorso per il “puntamento indiretto di un obiettivo non individuabile a vista”. Tale sistema è stato ormai abbandonato in artiglieria, superato dai rilevatori satellitari, ma è ancora ricorrente in non pochi settori dell’informazione coordinata, addomesticata, filoguidata, laddove per “falso scopo” si intende l’obiettivo al quale si vuole far credere che vengano rivolte critiche o censure, per nascondere le reali finalità che si intende perseguire». In sostanza, uno cerca di colpire un bersaglio dietro un muro o una collina, che si trova il linea d’aria con un corpo celeste o un oggetto sull’orizzonte. Punta quello, calcola la carica necessaria e il gioco è fatto. Il proiettile scavalca il muro o la collina, non raggiunge nè l’orizzonte nè il corpo celeste, ma rovina sul bersaglio stabilito.
«Ritengo così – prosegue Bonomi – che nel clamore mediatico artatamente sollevato dal consesso delle penne in relazione alla vicenda “editoriale Toghe lucane bis”, vero monumento alla generalizzazione più o meno interessata, alla strumentalità e al gossip, elevati questi dai quotidiani di sistema in modo del tutto sprovveduto al rango di presunte indagini, il “falso scopo” sia costituito da alcuni pm della Basilicata a vario titolo inquisiti (qui parla di se stesso, il collega Modestino Roca, il giovane sostituto Claudia De Luca, e l’ex procuratore generale Vincenzo Tufano, ndr) mentre il “vero scopo” della conclamata offensiva mediatica sia l’inchiesta e alcuni dei suoi protagonisti attivi che viene condotta su disposizione del ministro della Giustizia, presso la Procura di Napoli onde esaminare le condotte tenute da alcuni pm di estrazione curiale, con riferimento alla vicenda Tarantini e alle tentazioni inquisitorie nei confronti di taluni politici nazionali». Il pm di «estrazione curiale» sarebbe lo stesso Henry John Woodcock che è parte offesa nell’inchiesta di Catanzaro in quanto vittima delle calunnie a firma «Sicofante», contenute in un esposto attribuito dagli inquirenti proprio alla fucina di Bonomi. Il sostituto procuratore generale dal canto suo nega un qualsiasi ruolo nella redazione di quell’anonimo spedito a febbraio del 2009 da un poliziotto d’accordo con l’agente Nicola Cervone della centrale lucana del Sisde.
«Occorreva fare qualcosa “contro” – conclude Bonomi – e questo qualcosa sembra essere costituito proprio dalle più o meno confuse illazioni agitate su certa stampa più o meno addomesticata, con palese violazione del segreto di indagine, in ordine ai rapporti tra qualcuno dei magistrati inquisiti ed il vertice degli ispettori operanti in Napoli». Sa cosa dice il sostituto procuratore generale, che è stato per dieci anni uno 007 del dicastero di Grazia e giustizia. Il «vertice» di cui parla è il vice dell’ispettorato generale del dicastero di via Arenula, Gianfranco Mantelli, inviato nei giorni scorsi dal ministro Nitto Palma per verificare eventuali irregolarità da parte dei pm che hanno condotto l’inchiesta sul triangolo Tarantini-Lavitola-Berlusconi: Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock. Sempre lui.
Leo Amato
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