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Il reato è prescritto e quindi gli imputati non sono più condannabili. Questa la decisione della Corte di Appello di Catanzaro in merito al processo sul Viale Parco. Riformata, dunque, la sentenza di primo grado, coi dieci imputati in questione che, era il 19 febbraio 2009, furono condannati a Cosenza per falso ideologico e truffa nelle pubbliche forniture. In nove furono assolti.
Dopo la sentenza di primo grado seguì l’impugnazione, sia da parte degli avvocati difensori dei dieci condannati che da parte del pm Tridico, che ha però concentrato la sua azione su uno solo degli assolti, ossia sul bancario Enrico Chiappetta. Ieri il pg Manzini aveva chiesto la sua condanna a tre anni di reclusione per riciclaggio. Richiesta che non è stata però accolta dai giudici catanzaresi che hanno assolto l’imputato, difeso dagli avvocati Nicola Carratelli e Lucio Esbardo. Chiappetta fu coinvolto nell’inchiesta per avere, nella sua qualità di ex direttore di una banca di Fagnano, gestito in maniera illecita il flusso di denaro proveniente dai finanziamenti erogati dal Comune alla “Urban 2000”, una delle ditte impegnate per la realizzazione del Viale dedicato a Mancini. Finì addirittura in carcere. Per i dieci condannati in primo grado è giunta invece la prescrizione. Si tratta di dell’imprenditore Mariano Vulnera (si è interessato dei lavori del 3° lotto), in primo grado condannato a un anno e sei mesi, dei progettisti Riccardo Wallach e Vito Avino (hanno diretto i lavori del 1° e 3° lotto), che partivano da una condanna a un anno e quattro mesi di reclusione a testa, di Giampiero Ammirato, Renato Fazzari, Rodolfo Pallone e dei dirigenti comunali Francesco Collorafi e Luigi Belcastro, in primo grado condannati a un anno di reclusione, e, infine, degli imprenditori Fabio Olivieri e Giuseppe Ammirato, in primo grado condannati a otto mesi. Così come accaduto in primo grado, non è stata accolta la richiesta del Comune di Cosenza che, parte civile, aveva chiesto agli attuali indagati il risarcimento dei danni materiali e morali. Anche in questo caso sarebbe valso il principio secondo il quale doveva essere compito del Comune controllare i lavori e segnalare eventuali illegalità.
Il tutto ebbe inizio il primo aprile del 2005, quando una grossa voragine si aprì lungo il terzo lotto del Viale Parco, all’altezza della stazione di servizio Q8. Il tratto fu subito posto sotto sequestro. La Procura aprì un’inchiesta, denominata “Bynderopoli”, condotta dai carabinieri e dalla Finanza. Il sospetto era che il tratto incriminato fosse stato costruito con materiale di dubbia qualità e comunque di quantità inferiore a quella prevista dal progetto. Ieri la decisione dell’Appello.
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