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POTENZA – Sarebbe lui l’autore dell’esposto, o meglio avrebbe messo in piedi una vera e propria associazione segreta in grado di «interferire sull’esercizio dell’attività giurisdizionale» composta di magistrati, carabinieri e uno 007 del Sisde impiegato a tutti gli effetti come cancelliere nel Tribunale di Melfi. A capo c’era lui, secondo gli inquirenti della Procura della Repubblica di Catanzaro: il sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Potenza. Gaetano Bonomi (in foto)sarebbe stato il punto di riferimento di tutti gli altri. In tre sono carabinieri che prestavano servizio nell’ufficio di polizia giudiziaria di stanza nel Palazzo di giustizia di Potenza: Antonio Cristiano, Angelo Morello e Consolato Roma. Poi c’è “Nikeo” che è l’alias di Nicola Cervone, la barba finta che nel 2003 aveva agganciato il boss Antonio Cossidente promettendo aiutini nei processi per raccogliere notizie sui clan e i responsabili dell’omicidio Gianfredi. Poi c’è un altro magistrato sempre della Procura generale della Corte d’appello di Potenza, Modestino Roca, che in questi giorni conduce il processo di secondo grado contro il clan dei basilischi.
Per il pm Luigi Borrelli – che ha già chiesto di sentire Bonomi agli inizi di novembre – sarebbe stata opera dell’associazione in questione il noto esposto anonimo che ha dato il via all’inchiesta soprannominata “Toghe lucane bis”. «Pur sapendoli innocenti», Bonomi e gli altri avrebbero accusato il pm Henry John Woodcock, il gip Alberto Iannuzzi (oggi entrambi a un altro incarico) e l’ispettore della squadra mobile di Potenza Pasquale Di Tolla di abuso d’ufficio, rivelazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento personale. Chi ha passato le carte dell’inchiesta sul Totalgate all’imprenditore accusato di corruzione per gli appalti del progetto Tempa Rossa ossia il policorese Franco Ferrara? Woodcock e Di Tolla. Chi ha passato notizie a Michele Santoro e Federica Sciarelli? Sempre loro secondo il corvo di Potenza, che poi materialmente sarebbe stato un poliziotto di Cerignola che aveva ricevuto quelle lettere da Cervone. Di più. Bonomi, che per difendersi da queste accuse è già passato alle vie legali contro Borrelli e la Procura di Catanzaro, si sarebbe fatto pagare una vacanza da un’imprenditore molto amico. Tutto normale? Certo che no, perchè gli investigatori sono convinti che per quell’amico Bonomi avesse reperito degli atti coperti dal segreto che riguardavano le sue denunce contro il procuratore di Potenza, Giuseppe Galante, e alcuni sottufficiali della Finanza, in cambio di una raccomandazione per ottenere un incarico all’Ispettorato del ministero di giustizia. Già, il ministero.
Quando a Potenza c’era ancora Henry John Woodcock gli ispettori sono venuti ben 4 volte. Nessuno ha mai contestato il loro lavoro ma nel corso dell’inchiesta gli investigatori di Catanzaro si sono accorti che Bonomi era in ottimi rapporti con uno di loro, Gianfranco Mantelli, che adesso è a Napoli per la vicenda Tarantini, ultimo exploit – indovina un po’ – sempre di Woodcock. Anche un altro pm sarebbe stato nel mirino: Vincenzo Montemurro.
Stando agli atti dell’inchiesta di Catanzaro Bonomi sarebbe stato incaricato dall’Ispettorato di via Arenula di un accertamento speciale dopo l’esposto presentato dal comandante della Regione carabinieri Basilicata, Emanuele Garelli, nel quale si ipotizzavano «numerose irregolarità» nelle indagini che coinvolgevano o che vedevano protagonisti alcuni appartenenti all’Arma. È nato così quel pool tra magistrati, carabinieri e 007? Su questo gli inquirenti vanno cauti, ma a un certo punto l’obiettivo sarebbe cambiato radicalmente. E da un accertamento si sarebbe passati ai dossier.
lama
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