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di GENNARO MONTUORO e GIOVANNI PETA*
Sulla manifestazione del 15 ottobre si continuerà a parlare per molto tempo all’interno dei movimenti e i media faranno la loro parte con attacchi diretti a questo o quel settore. Crediamo che la portata di quanto accaduto meriti una riflessione più accurata sulle dinamiche dei movimenti di massa degli ultimi anni per interrogarsi su quale sia davvero l’efficacia dei movimenti, a cosa puntare quando ci si organizza, si scende in piazza, magari per non tornare a casa. Cerchiamo di focalizzare alcuni punti utili di riflessione. Si è manifestato nello stesso giorno in più di 80 paesi e in più di 500 città con le stesse parole d’ordine, con uno slogan che, come ha ricordato Naomi Klein di fronte a Wall Street è partito l’anno scorso dal movimento degli studenti italiani («Noi la vostra crisi non la paghiamo») e, a un anno di distanza, è rimbalzato in tutto il mondo nella forma: «Il debito non si paga». E’ significativo che questo obiettivo sia condiviso da milioni di manifestanti, nonostante sia così osteggiato dall’establishment accademico, politico, finanziario e mediatico. La manifestazione non è stata convocata da nessun partito, da nessuno dei sindacati cosiddetti maggioritari, da nessuna delle istituzioni che pretendono di rappresentare il Paese o da una sua componente. È stato il frutto di mille, diecimila iniziative dal basso, alcune esclusivamente locali, altre ormai consolidate, o temporaneamente coordinate, a livello nazionale; tutte si sono riconosciute in un comune sentire: quello dell’indignazione, per usare un termine che, più che scelto, gli è stato appiccicato addosso. E’ anche vero che i movimenti hanno trovato grosse difficoltà a coordinarsi. Gli studenti con i precari, i comitati dei beni comuni con quelli per l’acqua pubblica, i migranti che hanno condotto lotte rilevanti con gli operai, etc. non hanno prodotto quel salto di qualità che permettesse un reale coordinamento. Certo, appuntamenti comuni ci sono stati ma non sono stati sufficienti. Anche la stagione dei “social forum” ha visto il protagonismo delle organizzazioni, a vario titolo, e quasi mai dei movimenti sociali in prima persona. Alleanze di questo tipo farebbero acquisire più efficacia e nuova forza nelle mobilitazioni. Un movimento non è una mobilitazione o una manifestazione. Un movimento è una dimensione corposa della riscossa sociale, è partecipazione, consapevolezza dilagante, discussione e approfondimento, forme di lotta che seguono la dinamica delle iniziative. Soprattutto, è democrazia diretta, (o anche delegata, se si sceglie una forma mediata). In un paese come l’Italia questo è stato il punto debole dei movimenti dove hanno agito o burocrazie di partito o di sindacato o avanguardismi esasperati. La nascita, crescita e cura di un movimento di massa è anch’esso un lavoro essenziale ai fini dell’efficacia politica. E non è detto che per fare un movimento serva l’evento. La realtà degli ultimi dieci anni ci dimostra, anzi, il contrario. L’evento di Genova non ha prodotto alcun movimento duraturo ed efficace. Per dirla con una parola è mancata e continua a mancare l’autodeterminazione dei movimenti. Su salari, diritti, ambiente, beni comuni, finanza, etica, e tutto quello che vogliamo aggiungere, c’è stato un vistoso arretramento. Per uscire dall’angolo mortifero in cui si vuole relegare la manifestazione del 15 ottobre serve una riflessione cruda sulla possibilità di rimettere al centro delle preoccupazioni reali l’efficacia dell’azione politica. La possibilità di ottenere vittorie. Dei tentativi di stare insieme per cercare di scegliere uno sbocco condiviso e avviare un’azione politica efficace sono stati messi in atto negli ultimi giorni di preparazione della manifestazione. Soprattutto dagli studenti universitari romani ma non hanno potuto trovare una concreta attuazione. La parola d’ordine esplosa improvvisamente “Yes We Camp” stava a significare un percorso praticabile. La mobilitazione avrebbe potuto proseguire con un’acampada di centinaia di tende, tante da rendere difficile il loro sgombero e quasi automatica una loro crescita e un continuo rinnovamento, forse una mobilitazione permanente in cui confrontarsi ed elaborare proposte alternative a quelle del nostro governo e della cosiddetta troika (BCE,FMI, Commissine Europea). Ma anche far scaturire ulteriori forme di lotta. Oggi, con la necessaria freddezza, occorre riprendere il filo del discorso valorizzando le potenzialità di realtà di movimento che pure ci sono, mettendo in campo risorse contenuti, proposte e possibilmente interazione. In Calabria, la rete in difesa del territorio ha promosso una manifestazione il 12 novembre a Crotone per finirla con l’emergenza rifiuti e smetterla col Commissariamento che dura da 14 anni. Tale politica ha solo peggiorato la situazione precedente con la costruzione di inceneritori e nuove discariche. La raccolta differenziata rimane ferma al 12%, un risultato che ci pone in coda rispetto alle altre regioni. La Rete in difesa del territorio propone la strategia rifiuti zero adottata con successo in diversi comuni italiani e grosse città come S. Francisco e Los Angeles. Il Forum dei movimenti per l’acqua pubblica ha promosso una manifestazione il 26 novembre a Roma per dare voce ai ventisette milioni di italiani che hanno fermato la corsa alla privatizzazione dei servizi locali a cominciare dall’acqua. Verrà affiancata a un’altra iniziativa: siccome il governo, gli attuali gestori dell’acqua non vogliono tener conto della maggioranza degli italiani, il Forum ha pensato bene di avviare una campagna di “obbedienza civile” per l’attuazione del 2° quesito referendario, la riduzione del 7% della tariffa riguardante la remunerazione del capitale. Sono solo alcune occasioni utili per mantenere in vita, in maniera determinata, una mobilitazione quanto mai necessaria.
*coordinamento calabrese
sinistra critica
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