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di MATTEO COSENZA
“Dio mi giudicherà”. Ho riascoltato la lunghissima “dichiarazione” (“Questa non è una conferenza stampa”, precisò più volte ai giornalisti che cercavano di porre qualche domanda) che Orsola Fallara volle fare poche ore prima del suicidio. Mentre parlava aveva già deciso la sua atroce sorte (sempre che si sia trattato, com’è presumibile, di un suicidio)? Difficile rispondere perché la persona che parla non ha abbandonato il suo piglio perentorio, appare tesa e determinata nel controbattere a tutte le accuse, è durissima nei confronti dei suoi accusatori e degli altri che starebbero tramando nascondendosi dietro pareri e ordini di sospensione temporanea dal servizio, non è tenera con il sindaco – sottolinea – “facente funzioni” Raffa e chiede scusa a Scopelliti, lancia accuse velenose ad avvocati e alle loro conviventi o mogli, parla di parenti presenti in uffici dove non dovrebbero, sottolinea di essere inquieta dopo aver letto in una conversazione privata (?) su Facebook il riferimento al “modello Reggio”, poi glissa e spiega che il suo unico scopo è chiarire la sua posizione sulle somme indebitamente percepite per la presenza in commissione tributaria, e ad ogni passo aggiunge “ma non è questo il problema”. E’ turbata ma combattiva. Non lo è più due ore e mezza dopo – sono le 21,30 – quando telefona alla collega Andreana Illiano per dirle che le hanno rubato il telefonino e le carte, e non si rasserena neanche un po’ all’invito di controllare meglio perché forse si sta sbagliando. Poi dopo poco viene trovata agonizzante nella sua auto dentro il porto per aver ingerito acido muriatico. Morirà in ospedale.
Quel suicidio è una condanna troppo pesante e insopportabile anche di fronte alle più gravi colpe in un paese nel quale non esiste la pena di morte. Per questo allora come oggi è giusto provare innanzitutto pietà e dolore per la persona che muore travolta da una vicenda che la sta stritolando. Lei, il secondo dirigente più potente del Comune di Reggio, che sa vita, morte e miracoli di tutto il Palazzo, viene accusata di aver percepito una somma enorme (795 mila euro) per un incarico che andava retribuito una sola volta e non due e di aver consentito pagamenti altrettanto rilevanti (842 mila euro) all’uomo al quale è legata, vede crollare un mondo di sicurezze e di potenza. Non è difficile immaginare che cosa abbia vissuto in quei giorni nonostante la combattività, il voler rispondere colpo su colpo agli accusatori. Chissà quante volte avrà sentito il vuoto attorno e dentro di sé, avrà avuto fame e non avrà avuto la forza di ingoiare qualcosa, il desiderio di sparire e di ritrovarsi invece sempre al centro dell’attenzione, di sperare di dormire e di rimanere al contrario con gli occhi sbarrati per notti interminabili. Ripeto, per quanti errori e colpe possa avere avuto non meritava quella fine tragica. E la pietà non significa edulcorare eventuali errori e illegalità.
E’ stato scritto in questi giorni, cito Aldo Varano per tutti, che bisogna stare attenti a parlare di “caso Fallara”. Raccomandazione giusta, ma come si può prescindere da quel suicidio che pesa come un macigno sull’incredibile vicenda del bilancio del Comune di Reggio negli scorsi cinque anni? Sono tanti i Comuni in Italia – si vedrà anche in Calabria – che in questi anni hanno cercato di aggirare difficoltà e strettoie poste da leggi e regolamenti con escamotage discutibili che possono comportare il rischio di dissesto. Anche a Napoli – prima o poi se ne parlerà – negli ultimi tre anni si è creata una situazione rischiosissima, per di più in un Comune che solo quale anno fa era uscito dalla gestione di un colossale dissesto finanziario. Allegra gestione? Non si può dire perché bisogna sempre dimostrarlo; molte volte le disinvolte operazioni contabili servono a fronteggiare esigenze reali dei Comuni e delle popolazioni. A Reggio, per quello che sta emergendo dalle carte, le cose sono molto più complicate. Sono le cose che state leggendo da giorni e che ci dicono che mentre si aveva difficoltà a pagare servizi fondamentali, dipendenti e fornitori, si spendevano tanti soldi reali nelle direzioni più disparate e sicuramente non prioritarie e si ipotizzavano entrate fantasiose.
Sono dati di fatto non riferiti da rappresentanti delle opposizioni che quando lo hanno fatto si sono ritrovati al centro di vere e proprie guerre i cui sviluppi, visto il cumulo di querele annunciate, presto terrà impegnata non poco la giustizia. Diciamo, che si sono viste anche cose sgradevoli. A qualcuno è stato rinfacciato: zitto tu, perché tua moglie ha conquistato un posto, non so dove, grazie al tuo ruolo di assessore. Ecco, sarebbe stato più elegante che le accuse, fondate o meno che siano, fossero state fatte nel momento in cui i fatti, da verificare, erano stati scoperti e non conservarseli per l’occasione. In questo, però non c’è nulla di nuovo visto quello che accade da tempo in Italia.
Chiusa questa parentesi, torniamo ai dati di fatto che sono stati accertati dagli ispettori del ministero dell’Economia, vale a dire di un governo di centrodestra che sicuramente non può nutrire l’intenzione di mettere in difficoltà una grande e simbolica amministrazione comunale di centrodestra. Per di più in quel ministero c’è un rappresentante della Calabria, il sottosegretario Antonio Gentile, che è il vice coordinatore del Pdl e, quindi, del coordinatore Scopelliti e che, soprattutto, è stato uno dei due-tre personaggi che hanno consentito lo straordinario successo dello stesso nelle elezioni regionali. Dunque, se i tre ispettori mandati dal ministero del governo di centrodestra (due dei quali hanno realizzato l’ispezione anche per contro della procura di Reggio) hanno scoperto e raccontato cose terribili, evidentemente queste cose terribili devono essere accadute. Da qui bisogna serenamente partire per cercare di capire che cosa è successo negli anni scorsi a Reggio e che ha portato ad un buco di 170 milioni di euro (nel conteggio dei cinque anni, circa 80 nel conteggio di tre anni) perché ne risponda chi ha sbagliato e perché si pongano le condizioni sia per rimettere, per quanto faticosamente e dolorosamente, le cose a posto, sia per fissare paletti invalicabili affinché mai più si ripeta quanto è accaduto.
Non è questa la sede per dire chi ha sbagliato e chi no, chi sapeva e chi no, per quanto ognuno si ponga domande legittime sull’innocenza o sulla incompetenza nel caso di effettiva ignoranza delle cose accadute. I compiti degli amministratori e dei funzionari sono chiaramente indicati nel testo unico degli enti locali, che distribuisce con precisione funzioni e responsabilità, diritti e doveri. Per esempio all’articolo 50 recita: “Il sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione. Rappresenta l’ente, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti. Nomina i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuisce e definisce gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione”.
Aspettiamo, come solitamente si dice, fiduciosi che la pubblica amministrazione e la giustizia facciano chiarezza fino in fondo individuando responsabilità e responsabili, e auguriamo che i funzionari e gli amministratori possano dimostrare, nel loro interesse e in quello della collettività, la loro correttezza nei confronti dei rilievi che emergono dall’ispezione ministeriale. Per ora sappiamo che finora ha pagato una sola persona con il suo estremo e ingiusto gesto. Una donna sempre più sola, abbandonata praticamente da tutti, addirittura vessata da un tentativo di estorsione fondato sul rischio di una pesante azione giudiziaria nei suoi confronti, accusata di abusi personali e soprattutto consapevole delle storture nella gestione amministrativa del Comune sul quale fino a poco prima svettava sicura e quasi onnipotente. D’accordo, non è il caso Fallara ma quella morte impone chiarezza e verità assolute.
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