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QUESTA dei rifiuti sta diventando davvero una storia paradossale. Dopo che la Provincia decide finalmente che l’impianto di termodistruzione Fenice dev’essere sospeso per 150 giorni e comunque finché Edf non dimostra di avere compatibilità e requisiti a posto, dall’Arpab arriva il parere positivo al mantenimento in funzione dell’impianto stesso. Possibile? Possibile. Immaginarsi la reazione di funzionari, dirigente e dello stesso assessore alla lettura della comunicazione di ieri mattina, nella quale l’Agenzia per la protezione ambientale conferma quanto dichiarato il 20 settembre nella commissione (fiume) dei servizi: Fenice inquina, Edf però sta mettendo il sito in sicurezza, per cui per noi può continuare a bruciare. Ma come? La Provincia non s’è basata sui dati dell’Arpab per deliberare la chiusura dell’impianto? Certo che si è basata su quei dati, ma questa vicenda – è questa la sensazione – per tutti gli attori coinvolti, è una tale patata bollente da partorire mostri anche peggiori di questi.
La diffida a Fenice
Per capire l’origine del cortocircuito tra enti, posto che ovviamente ognuno ti racconta la sua versione e dunque tutti hanno torto così nessuno ha torto, basiamoci sugli atti. E quale vademecum migliore che la diffida a Fenice di venerdì scorso. Nella cronologia minuta di questi ultimi mesi, c’è tutto quello che bisogna sapere per farsi un’idea di come sono andate le cose.
Inquina, però può operare
La bonifica del sito su cui insiste l’ impianto comincia a marzo 2009. L’intervento si era reso necessario perché Arpab aveva rilevato alcuni parametri anomali nelle falde. Fenice, dicono dalla Provincia, aveva messo in campo tutto quello che c’era da fare, si era sempre presentata alle conferenze dei servizi invocate dal sindaco di Melfi e aveva rispettato i tempi, sia per l’analisi di rischio che per il piano di caratterizzazione. C’era una buona notizia, poi: i valori stavano pian piano regredendo, per cui Fenice, «sito contaminato», otteneva ugualmente il suo rinnovo all’autorizzazione. E’ l’ottobre 2010.
L’autorizzazione incriminata
La discriminante, costata una menzione nell’inchiesta di Colella anche al – coram populo – integerrimo dirigente dell’ufficio Ambiente provinciale Antonio Santoro, è proprio questa. Come mai s’è data l’autorizzazione a Fenice? Perché l’ente sarebbe obbligato a farlo se «sussistono le condizioni». E siccome secondo la Provincia le condizioni sussistevano – la bonifica stava dando i suoi frutti, l’Arpab e Polizia provinciale avevano fatto i controlli e le carte erano a posto – si è scelto di dare l’ok.
Provincia chiama Arpab
C’è voluto maggio 2011, salto temporale di un anno quasi, per accorgersi che i dati nelle acque di faglia superiori alle soglie di contaminazione, non diminuivano più. Il 30 giugno la Provincia chiede ad Arpab un parere e l’agenzia risponde che le condizioni sono le stesse del 2010 (ossia Fenice può bruciare), aggiungendo che però, siccome il sito è in produzione, «non si possono escludere eventi» che potrebbero ripercuotersi sulle acque sotterranee. Inoltre – ancora Arpab – la messa in sicurezza d’emergenza non è «del tutto esente da malfunzionamenti». La risposta è di luglio e ad agosto la Provincia chiede: scusate, ma che vuol dire? Ci dobbiamo preoccupare o no?
L’agenzia non risponde
Alla richiesta di chiarimenti Arpab non risponde. Il 14 settembre però il direttore Raffaele Vita viene sentito in III Commissione regionale e lì dichiara che «i risultati delle indagini compiute sino a questo momento destano preoccupazioni», perché superano i parametri di soglia. La commissione è di certo una sede istituzionale, ma siccome di risposte ufficiali in Provincia non ne arrivavano, il dirigente convoca una conferenza dei servizi e la presiede. Tra la convocazione e la riunione vera e propria Arpab pubblica on line tutti i dati del monitoraggio su Fenice dal 2002 al 2007. Ma a quella domanda non risponde. Perché?
La conferenza dei servizi
In conferenza dei servizi il direttore dell’Arpab dichiara cose già sentite, ossia che «ovviamente essendo questo un sito sul quale è in attività un impianto produttivo non si possono escludere fenomeni o eventi accidentali con ripercussioni sul sito e conseguentemente sulle matrici ambientali». A quel punto tutti i coinvolti si aspettavano un parere negativo alla continuazione dell’attività e invece il parere – esattamente come quello di oggi – resta incredibilmente positivo.
L’incendio
Dopo quella conferenza il dirigente si riserva di decidere. La Regione, intanto, chiede a Fenice di comunicare immediatamente quali valori non presenti nel piano di caratterizzazione siano finiti sopra la soglia e soprattutto di mettere subito il sito in sicurezza. Il due di ottobre scoppia l’incendio sull’impianto. Per l’Arpab «non è il primo ad aver interessato l’impianto» e tutto ciò dunque «è l’ulteriore conferma del fatto che il termovalorizzatore Fenice di Melfi andrebbe trattato come industria a rischio incidente rilevante». Primo cambio di rotta dell’agenzia che ora sembra meno possibilista sul parere dato in precedenza.
I dati su internet
All’Arpab, comunque, non conoscono le mezze misure. O i dati non te li fanno vedere per anni chiudendoli in cassaforte o te li puoi scaricare da web come un video di youtube. E infatti l’undici di ottobre erano tutti in rete quelli relativi al mese di settembre. Dentro, però, c’è la notizia: oltre ai soliti parametri in aumento, per la prima volta compaiono due new entries, ferro e benzene. Il giorno dopo la Provincia chiede di rendere meno acritici quei valori e di fornirne una spiegazione. Silenzio dall’agenzia che per tutta risposta scrive ai giornali e dice – cambiando ancora una volta versione – di avere difficoltà con i campionamenti e che dunque non è in grado di dire se Fenice inquina o no. La Provincia a quel punto applica i principi di prevenzione e precauzione e blocca tutto.
Riassumendo
L’organismo tecnico di cui si dota la Provincia per le analisi e i pareri sul sito contaminato cambia parere tre volte. Una volta dice che c’è possibilità che si inquini, ma poi non è consequenziale e rilascia parere positivo all’attività di Fenice. Poi scoppia l’incendio e ci ripensa, facendo presente che il sito è a rischio incidente rilevante e dunque bisogna prendere provvedimenti, come l’informazione alla popolazione sulle misure di sicurezza e un piano di emergenza esterno. Un’altra volta invece dice che non ha strumenti per valutare e dunque passa la palla alla Provincia. Il quarto atteggiamento è la non risposta o la risposta a soggetti diversi dal richiedente. Insomma un’agenzia di “protezione”, ma non si capisce bene di chi.
Rosamaria Aquino
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