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POTENZA – «Si ritiene opportuno precisare che l’indicazione dei responsabili Arpab intervenuti nella vicenda, con i relativi periodi di reggenza, è stata fornita dall’allora direttore generale Vincenzo Sigillito, in quale, naturalmente, non ha inserito il suo nominativo nella lista, nonostante si sia reso anch’egli responsabile di condotte penalmente rilevanti». Se non è una vera e propria censura poco ci manca. Per il gip che ha disposto gli arresti domiciliari per Vincenzo Sigillito e il coordinatore provinciale dell’Arpab, Bruno Bove, serve a comprendere i limiti del lavoro della Procura della Repubblica di Melfi.
Sono 14 i nomi indicati nell’informativa della polizia provinciale di Rionero delegata dal pm Renato Arminio per le indagini sul disastro di San Nicola, ma quello di Vincenzo Sigillito non c’è. C’è Bruno Bove. C’è il vecchio coordinatore Ferruccio Frittella. C’è Vincenzo Di Croce e anche qualcuno che per gli investigatori di Potenza non c’entra nulla con la vicenda Fenice.
Adriana Bianchini è un architetto che lavorava nel settore informativo dell’Arpab. Suo marito è stato a lungo uno degli uomini più fidati della segreteria politica dell’assessore Erminio Restaino, che è accusato di aver fatto pressioni per “taroccare” un concorso per la stabilizzazione di una figura all’interno dell’Agenzia, introducendo tra i requisiti proprio la laurea in architettura. In un’ente preposto alla tutela dell’ambiente uno si può immaginare che sia difficile trovarne. Di fatto Adriana Bianchini sarebbe stata l’unica a presentarsi, ma l’assunzione non sarebbe andata in porto lo stesso. Nell’inchiesta della procura di Melfi sul caso Fenice il nome di Adriana Bianchini c’è. Quello di Sigillito invece no.
Mancano anche i dati delle analisi effettuate nel 2003, quando per la prima volta anche il mercurio nella falda sotto l’inceneritore avrebbe superato i limiti previsti dalla legge. È l’anno in cui Vincenzo Sigillito, che all’epoca dirigeva il dipartimento ambiente della Regione, firma un’intesa con l’Arpab perchè sia la nuova agenzia regionale a occuparsi dei controlli su quell’impianto al posto del dipartimento, in particolare l’ufficio monitoraggio diretto da Bruno Bove.
I militari del Noe su delega della Procura della Repubblica di Potenza quei dati li avrebbero recuperati a Matera. Si dice che fossero in cassaforte, ma non è chiaro che è la stessa cassaforte di cui parlano proprio Vincenzo Sigillito e Bruno Bove in un’intercettazione che a Potenza ha destato molta attenzione tra gli inquirenti. Avevano già messo telecamere e microspie nell’ufficio del direttore, mentre per Melfi non era neanche da indagare. Hanno ascoltato le telefonate con l’assessore regionale. Hanno registrato le “soffiate” nell’orecchio di un imprenditore che lavorava per Fenice. Hanno visto che tra i soci di quell’imprenditore con amicizie “bipartisan” che si occupa tra l’altro della raccolta dei rifiuti nei comuni di Atella, Rionero, Lavello, Melfi e Senise, tutti comuni che conferiscono a Fenice, ci sono il figlio del pm Arminio e il fratello dell’ideatore del Piano provinciale rifiuti, che consacra l’importanza di Fenice da una parte, e dell’altra della discarica di Pallareta. Hanno scoperto che anche la discarica comunale di Pallareta, a Potenza, stava inquinando da anni ma i tecnici dell’Arpab avevano sottovalutato i dati delle analisi.
Tutto si tiene? Secondo i militari del Noe e del reparto operativo dei carabinieri sì. Gli investigatori dal capoluogo si sono presentati un paio di volte nella città federiciana per prendere copia di alcuni documenti. Alla fine hanno dovuto scoprire le loro carte spiegando che da un po’ non stavano più indagando su una serie di reati scollegati l’uno dall’altro, ma su un’associazione a delinquere strutturata tra politici e funzionari con forti agganci nell’imprenditoria, tipo il colosso Fenice-Edf. In altri tempi si sarebbe parlato di “cricca” o “comitato d’affari”. Anche la denuncia di Sigillito, preparata a tavolino con Bove, quella che per gli inquirenti di Melfi spiegava fatti e responsabilità all’interno dell’Arpab, andava riletta come un falso costruito ad arte per sviare le indagini e coprire le proprie omissioni. Così l’inchiesta sul disastro di San Nicola è passata da Melfi a Potenza.
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