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di ANDREA GUALTIERI
Ha accennato alla criminalità, ha incoraggiato i calabresi, ha parlato di impegno per il bene comune. Tutto vero. Ma se in realtà quello che Benedetto XVI ha pronunciato in Calabria fosse, nel suo complesso, un manifesto meridionalista? Certo, chi aspettava che il Pontefice pronunciasse dichiarazioni roboanti è rimasto deluso. Ma era un esito scontato: il Papa studioso non è il suo predecessore, non ne ricalca l’esuberanza né il gusto per l’improvvisazione. I messaggi di Joseph Ratzinger hanno un impatto meno emotivo e spesso si agganciano con la spiegazione delle sacre scritture citate nell’ambito di uno stesso discorso. E infatti, anche in questa occasione, concentrarsi solo sulle frasi nelle quali la Calabria è citata in forma esplicita è riduttivo. Di più: è sbagliato, perché fa perdere una consecutio che invece ha un senso compiuto se si parte dalla metafora del banchetto e da quella della veste bianca citata in riferimento alla prima lettura e al Vangelo del giorno. Benedetto XVI da un lembo del Sud parla alla gente meridionale che si considera in coda al treno dell’economia, dei servizi e dello sviluppo del Paese. E nell’omelia della Messa di Lamezia il Papa cita un’opportunità che è offerta proprio ai «più poveri, abbandonati e diseredati». Un’opportunità, precisa, per «porre fine alla tristezza e alla vergogna». È questo il cuore di un messaggio con il quale il Pontefice traccia una rotta per «far scomparire la condizione disonorevole» e la appoggia sulle coordinate di un concetto che può essere compreso anche dai laici, quello della carità. E infatti Benedetto XVI spiega ai cattolici la metafora della veste bianca citata dall’evangelista Matteo dicendo che la condizione necessaria per accedere al banchetto della speranza è «un profondo amore a Dio e al prossimo», ma poi torna sul concetto rendendolo ancora più esplicito. E parla di «capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico» e poi ancora di rigetto degli «interessi di parte» e in seguito, nell’Angelus, della necessità di crescente attenzione nei confronti dei problemi delle categorie più deboli, citando il lavoro, la gioventù e la tutela delle persone disabili. In sostanza, la chiave per uscire dall’angolo, per il Meridione bistrattato e ferito da ritardi e da prepotenze criminali è, secondo Benedetto XVI, condensata nella carità, intesa come contrario degli egoismi. Una ricetta per la quale, a queste latitudini, c’è una sensibilità legata «alle risorse della fede» e alle «capacità umane» dei calabresi, a una pietà popolare «viva», ma anche a una tradizione di santità che parte dal carisma di San Francesco di Paola, che seppure non sia stato nominato dal Pontefice, della Charitas è proprio il profeta per eccellenza. E questa sensibilità può fare la differenza, se è vero, come ha spiegato Benedetto XVI, che dal progetto di salvezza si resta fuori se si mettono al primo posto le «preoccupazioni materiali» fino ad avere addirittura «reazioni ostili, aggressive» all’invito di Dio basato sull’amore. E in questo, anche se il termine non viene usato in modo esplicito, si coglie un richiamo al rischio della secolarizzazione. Nel pomeriggio, parlando ai certosini, il Papa è ancora più chiaro: «A volte – dice – il clima che si respira nelle nostre società non è salubre, è inquinato da una mentalità che non è cristiana e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale. In questo clima non solo si emargina Dio, ma anche il prossimo, e non ci si impegna per il bene comune». È tutta qui la differenza, nella sostanza: rispetto alle regioni secolarizzate, il Sud conserva una potenzialità in più ed è legata alla capacità di guardare ancora all’altro. Se riuscirà a calare questa risorsa nella quotidianità dell’impegno politico, nella disponibilità alla cooperazione, in una premura delle istituzioni per chi resta indietro che però non degeneri nell’assistenzialismo e in un rapporto con i beni materiali che non sia condizionato da logiche egostiche e consumistiche, il Mezzogiorno può trovare la forza di «preparare un futuro migliore». E questo non è forse il migliore manifesto meridionalista che ci si potesse aspettare da un Pontefice?
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