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Ad Acri, in provincia di Cosenza, si riapre il caso della morte, il 24 marzo dello scorso anno, di un operaio di Gianfranco Viteritti, 34 anni, trovato impiccato nel garage di casa. Per il gip del tribunale di Cosenza, Salvatore Carpino, potrebbero esserci i motivi per ritenere che Gianfranco Viteritti, questo il nome della vittima, sia stato ucciso. Per questo il giudice, avallando la tesi sostenuta dall’avvocato dei genitori della vittima, non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Antonio Bruno Tridico, della Procura della Repubblica di Cosenza, che aveva bollato il caso come suicidio. Tesi, quest’ultima, alla quale non hanno mai creduto i genitori di Viteritti, che sin dall’inizio hanno parlato di omicidio.
Il giudice per le indagini preliminari ha chiesto alla Procura di «accertare, previa apposita consulenza tecnica, utilizzando quanto già contenuto nel fascicolo processuale (compresa l’ampia documentazione prodotta dalla difesa), l’esatta dinamica dei fatti che hanno condotto alla morte di Gianfranco Viteritti. Occorrerà accertare nello specifico se il fatto mortale – ha sottolineato il gip – si sia verificato effettivamente mediante impiccagione, tenuto conto di tutte le circostanze concrete emerse (peso corporeo della vittima, condizioni della cintura e della vite affissa alla trave, dichiarazioni rilasciate al momento del rinvenimento del cadavere)».
Il giudice Carpino ha quindi fissato il termine di novanta giorni per l’espletamento delle indagini, che potrebbero ribaltare la tesi del suicidio.

Quel giorno, il 24 marzo del 2010, verso le 19, i carabinieri di Luzzi ricevettero una telefonata dalla moglie di Viteritti, che riferì di aver rinvenuto, all’interno del proprio garage, il corpo del marito, senza vita, impiccato ad una trave di legno con una cintura. Ma quando i militari sono arrivati sul posto il corpo dell’uomo era stato rimosso rimosso dalla moglie e dal cognato e adagiato sul pavimento, con al collo una cintura di pantaloni, con la quale si riteneva si fosse tolto la vita.
Dopo la prima richiesta di archiviazione, in quanto era stato accertata la morte di Viteritti per soffocamento, la Procura di Cosenza, e formulata nell’ottobre del 2010, il gip nel novembre 2010 rigettò la richiesta invitando il pubblico ministero ad effettuare nuove indagini, in seguito alle quali veniva formulata una nuova richiesta di archiviazione.
A questo punto l’avvocato Roberto Le Pera ha iniziato le proprie investigazioni private, affidando la ricostruzione del presunto suicidio a un pool di consulenti tecnici, coordinati dall’ingegnere Angelo Costa, professionista cosentino già impegnato in diversi procedimenti penali nella ricostruzione di fatti omicidiari.
Tra i particolari emersi da questa attività d’indagine è emerso che Viteritti non poteva essere stato rinvenuto impiccato nel garage per come raccontato dalla moglie del defunto. L’avvocato Le Pera ha criticato anche la consulenza del medico legale della Procura, quella che aveva praticato l’autopsia sul corpo di Viteritti, affermando che «in tale consulenza non si era proceduto neppure a rilevare i dati più rilevanti nei casi di suicidio quali il peso corporeo e la circonferenza del collo del cadavere». A detta dell’avvocato e dei suoi consulenti il garage non è comunque da ritenersi il luogo del presunto suicidio. La trave dove sarebbe stata assicurata la cinta era troppo vicina al pavimento. Quindi Viteritti, una volta impiccatosi, avrebbe toccato coi piedi il pavimento.

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