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Il Sud sta diventando un Paese per vecchi, con una senescenza demografica crescente e sempre meno lavoro per i giovani. La fotografia emerge dal Rapporto Svimez 2011 presentato oggi e dal quale si registra un incremento del fenomeno dell’emigrazione. Dal 2000 al 2009 ammontano a quasi 600mila gli emigrati dal Meridione. Circa uno su sei è napoletano.
Nel solo 2009 sono partiti del Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa per partenze la Campania, con una partenza su tre (33.800); 23.700 provengono dalla Sicilia, 19.600 dalla Puglia, 14,200 dalla Calabria. In direzione opposta, da Nord a Sud, 67mila persone. Lo rileva il Rapporto Svimez 2011. La regione preferita per il Mezzogiorno resta la Lombardia, che ha attratto nel 2009 quasi un migrante su quattro, seguita dalla Lombardia. Dal 2000 al 2009 583 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. La crisi del 2008-2009 ha colpito anche i pendolari meridionali, che hanno iniziato a non partire più in massa per il Centro-Nord. Nel 2010 i pendolari di lungo raggio da Sud a Nord sono stati 134mila, di cui 121mila diretti al Centro-Nord e oltre 13mila all’estero. Nel biennio 2008-2010, per effetto della crisi, i pendolari di lungo raggio si sono ridotti del 22,7%, in valori assoluti circa 40mila in meno del 2008.
Pur diminuendo in valori assoluti, è cresciuta però la componente laureata: dal 2004 sono stati il 6% in più del totale, a testimonianza dell’incapacità dell’area di assorbire manodopera qualificata. In totale, nel 2009, oltre il 54% aveva un titolo di studio medio-alto. I laureati emigrano soprattutto da Molise(27,8% del totale), Abruzzo (26,6%) e Puglia (24,8%). La maggior parte lavora nel settore industriale (56%).
Nei prossimi venti anni il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro, nel Centro-Nord oltre un giovane su cinque sarà straniero. Nel 2050 gli under 30 al Sud passeranno dagli attuali 7 milioni a meno di 5, mentre nel Centro-Nord saranno sopra gli 11 milioni. La quota di over 75 sulla popolazione complessiva passerà al Sud dall’attuale 8,3% al 18,4% nel 2050, superando il Centro-Nord dove raggiungerà il 16,5%.
Le cause secondo lo Svimez sarebbero da ricercare nella bassa natalità, bassissima attrazione di stranieri, emigrazione verso il Centro-Nord e l’estero. Il rischio è un vero e proprio «tsunami» demografico: da un’area giovane e ricca di menti e braccia il Mezzogiorno si trasformerà nel prossimo quarantennio in un’area spopolata, anziana, sempre più dipendente dal resto del Paese.
Il Mezzogiorno è in recessione, continua a crescere meno del Centro-Nord, e lavora ufficialmente meno di un giovane su tre con un tasso di disoccupazione reale che sarebbe del 25%. Un’area a rischio tsunami demografico, in cui nel 2050 gli over 75 cresceranno di dieci punti percentuali.
In base a valutazioni Svimez nel 2010 il Pil è aumentato nel Mezzogiorno dello 0,2%, in decisa controtendenza rispetto al -4,5% del 2009, ma distante di un punto e mezzo percentuale dalla performance del Centro-Nord (+1,7%). Non va meglio nel medio periodo: negli ultimi dieci anni, dal 2001 al 2010 il Mezzogiorno ha segnato una media annua negativa, -0,3%, decisamente distante dal + 3,5% del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree.
In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno è passato dal 58,8% del valore del Centro Nord nel 2009 al 58,5% del 2010. In valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.583 euro, risultante dalla media tra i 29.869 euro del Centro-Nord e i 17.466 del Mezzogiorno. Nel 2010 la regione più ricca è stata la Lombardia, con 32.222 euro, seguita da Trentino Alto Adige (32.165 euro), Valle d’Aosta (31.993 euro), Emilia Romagna (30.798 euro) e Lazio (30.436 euro).
Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (21.574 euro), che comunque registra un valore di circa 2.200 euro al di sotto dell’Umbria, la regione più debole del Centro-Nord. Seguono il Molise (19.804), la Sardegna (19.552), la Basilicata (18.021 euro), la Sicilia (17.488), la Calabria (16.657) e la Puglia (16.932). La regione più povera è la Campania, con 16.372 euro.
Delle 533 mila unità perse in Italia tra il 2008 e il 2010, ben 281 mila sono nel Mezzogiorno. Nel Sud dunque pur essendo presenti meno del 30% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite di lavoro determinate dalla crisi. Incide in questa area, più che altrove, il calo fortissimo dell’occupazione industriale (meno 120 mila addetti, che vuol dire quasi il 15% di calo, che diviene il 20% in Campania). Secondo la Svimez, per uscire dall’impasse occorre promuovere una nuova politica industriale specifica per il Sud, con risorse adeguate. Uno degli elementi fondamentali dovrebbe essere costituito dalla fiscalità di vantaggio.
DISOCCUPAZIONE
Nel 2010 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 872mila unità, 153mila in meno rispetto al 2009, di cui 86.600 nel solo Mezzogiorno. Ma la vera e propria emergenza – rileva il Rapporto Svimez – è tra i giovani. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) è giunto nel 2010 ad appena il 31,7% (nel 2009 era del 33,3%): praticamente al Sud lavora meno di un gio-vane su tre. Situazione drammatica per le giovani donne, ferme nel 2010, al 23,3%, 25 punti in meno rispetto al Nord del Paese (56,5%). E’ come se la «debolezza» sul mercato del lavoro, legata in tutto il Paese alla «condizione giovanile», al Sud si protraesse ben oltre l’età in cui ragionevolmente si può parlare di «giovani». Dal brain drain, cioè dalla «fuga dei cervelli», il drenaggio di capitale umano dalle aree deboli verso le aree a maggiore sviluppo, siamo ormai passati al brain waste, lo «spreco di cervelli», una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non trova neppure più una valvola di sfogo nelle migrazioni. Nel 2010 il tasso di disoccupazione registrato uffi-cialmente è stato del 13,4% al Sud e del 6,4% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro. Nel Centro-Nord la perdita di posti di lavoro tende a trasformarsi quasi interamente in ricerca di nuovi posti di lavoro; nel Mezzogiorno solo in minima parte diventa effetti-vamente ricerca di nuova occupazione. Rispetto all’anno precedente, i disoccupati sono aumentati più al Centro-Nord (+9,4%) che al Sud (+6,6%). In testa alla non invidiabile classifica, la Sicilia, con un tasso del 14,7%, seguita dalla Sardegna (14,1%) e dalla Campania (14%). In valori assoluti i disoccupati sono aumen-tati di 59.300 unità nel Mezzogiorno, di cui 18.500 in Campania e 12.600 in Puglia.
Il tasso di disoccupazione uf-ficiale rileva però una realtà in parte alterata. La zona grigia del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord supererebbe la soglia del 10% (ufficiale: 6,4) e al Sud raddoppierebbe, passan-do nel 2010 dal 13,4% al 25,3% (era stimato nel 23,9% nel 2009).
Dopo una riduzione di 110mila unità nel 2008, nel 2009 gli inattivi in età lavorativa sono cresciuti di 329mila unità nel 2009 e di 136mila nel 2010. Tra il 2003 e il 2010 gli inattivi in età da lavoro sono cresciuti nel Sud di oltre 750 mila unità.
Nel Sud – prosegue il Rapporto Svimez – cresce la domanda di lavoro in agricoltura (+2%), dopo la forte flessione del 2009 (-5,8%), con un forte boom in Calabria e Abruzzo, superiore al 10%. In calo l’industria, che segna -5,5%. Ancora peggio se consideriamo l’industria in senso stretto: -7,3%, più del doppio del Centro-Nord (-3,3%). La dinamica dell’occupazione industriale è sensibilmente negativa in tutte le regioni del Sud, particolarmente in Sicilia (-8,1%), Calabria (-6,9%) e Campania (-6,1%). Fa eccezione il Molise (+3,7%), per l’ampio ricorso alla cig. Giù anche i servizi, con un calo dello 0,4%, ben più marcato che nell’altra ripartizione (+0,2%). Particolarmente negativo il dato del Molise (-4,9%) e della Basilicata (-3,6%). In controtendenza la Sardegna (+3,1%).
In valori assoluti, il Sud ha perso nel 2010 77.500 unità nel settore industriale (-126.600 nel Centro-Nord), e 17.300 unità nei servizi (+52.100 nel Centro-Nord). Gli occupati in agricoltura sono cresciuti invece di 16.500 unità, di cui 8.400 al Centro-Nord e 8.100 al Sud (con una forbice compresa tra +5.800 in Calabria e -4.900 in Sardegna).
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