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FORSE è rimasto sorpreso lui stesso. Sul palco è apparso molto più rilassato, persino contento, rispetto al tardo pomeriggio, quando abbiamo raccolto le sue dichiarazioni in albergo.
L’intelligenza è la capacità di adattarsi alle situazioni. Ieri sera, al Parco del Castello, Battiato e Matera hanno saputo adattarsi. Il primo alle condizioni inaspettate e inadeguate del concerto: il Maestro avrebbe preferito che si svolgesse a porte chiuse, con dei posti a sedere e soprattutto che non fosse pubblicizzato come un suo concerto, perché di fatto avrebbe dovuto essere un’opera lirica su Bernardino Telesio (filosofo e naturalista di Cosenza del ‘500) da lui solamente composta. La seconda perché, appunto, si aspettava un concerto e invece si è ritrovato davanti un’opera lirica e perché, in effetti, le condizioni d’ascolto non erano le migliori. Troppa gente rispetto a quanto il posto poteva contenerne; tantissimi sono rimasti bloccati sulla strada che costeggia il Castello pur di ascoltarlo. Eppure, alle 21.45, un quarto d’ora dopo l’inizio dell’opera, in tanti abbandonano il Parco delusi dal fatto che il Maestro non cantasse. Chi è andato via e incontra degli amici che ancora devono arrivare, ironizza: «Andate, andate.», dicono con un mezzo sorriso che intende: «Vedrete quello che v’aspetta». Nonostante questo, il Parco era pienissimo e c’erano migliaia di persone, che con pazienza hanno ascoltato la prima mezz’ora di opera lirica, in silenzio: di fatto erano state ingannate. Alla fine di ogni aria, un tiepido applauso.
Peccato, perché meritava davvero e, probabilmente, in altre condizioni, cioè quelle d’ascolto di un’opera lirica, seduti e con libretto in mano per poter seguire la storia, sarebbe stato maggiormente apprezzato.
Poco dopo le 22, il soprano palermitano (che Battiato dice di aver scovato dopo una lunga ricerca, persino all’estero) conclude la sua performance, e qui gli applausi di stima aprioristica sono generosi e calorosi. Il sospetto, che è solo un sospetto, è che il Maestro, abbia deciso di accorciare la parte d’opera, vista la situazione. Battiato torna sul palco, dopo aver introdotto alle 21.30 il soprano: lo accoglie una batteria di applausi. Inizia a cantare il suo repertorio più sacro, accompagnato da solo pianoforte e tastiera: “Lode all’inviolato”, “Il re del mondo”. L’effetto è surreale: migliaia di persone in silenzio, incantate da suoni che vengono da lontano. Ma qui si materializza il fantasma paventato dal Maestro nel pomeriggio: un problema tecnico già riscontrato nelle prove. Il microfono non funziona bene, si perde qualche parola. Con la grazia che gli è propria, ma evidente nervosismo chiede che il microfono sia sostituito. Riprende a cantare con “Stati di gioia”, ma è come se fosse staccato dalla musica, le parole non vi aderiscono. Sarà l’ultimo momento di tensione, di qui in poi ci sarà perfetta comunione fra musica e parole, fra lui e il pubblico. Il momento più alto è raggiunto da “Povera patria”, canzone composta dopo la morte di Falcone e Borsellino. Al verso «fra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni» l’applauso esplode, come in ogni esecuzione dal vivo di questo brano. Solo che questo ha la forza e la fame disperata di migliaia di persone arrabbiate, affamate e disperate, i materani e i loro cugini vicini. Fame di cultura, fame di lavoro, fame di cambiamento, fame di rivoluzione, fame di speranza. C’era tutto questo in quell’applauso spontaneo che ha coperto, per qualche istante, le parole del Maestro che di qui in poi si rilassa, ride, ammicca al proprio pubblico, gli chiede di partecipare, accenna passi di danza. E quando la mezz’ora prevista di concerto finisce e il pubblico amichevolmente fischia, spontaneamente, senza inscenare l’uscita dal palco per poi rientrare, chiede un attimo di consulto con i suoi musicisti per trovare altre canzoni. Spiega che non erano preparati. Ricomincia con “Stranizza d’amuri”, bellissima canzone d’amore cantata in siciliano. Il pubblico ringrazia, ne vuole ancora, ognuno chiama la propria canzone preferita. Si placa solo quando sente le prime note de “La cura”. Non diventa più una questione di quantità, ma di qualità: la bellezza della canzone appaga tutti e Battiato può lasciare il palco, assalito dalla folla che chiede una foto o un autografo, finché non raggiunge la macchina.
Chissà, tornando in albergo o stamattina andando all’aeroporto di Bari, cosa avrà pensato. Se la sua indignazione per questa Italia sfasciata e approssimativa («Questo Paese è arretrato peggio delle capre.» tuonava ieri pomeriggio in albergo alla stampa), per una classe politica fatta di «perfetti e inutili buffoni» ha trovato una speranza: sabato sera, in fondo, poteva essere una fotografia perfetta dell’Italia, arrangiata e inadeguata.
Eppure tutto è andato per il meglio e l’emozione è stata fortissima forse proprio per questo, per l’aver superato brillantemente i nonostante tutto che sono l’espressione più usata per questo paese. L’intelligenza è il primo requisito per una rivoluzione culturale.
Roberto Moliterni
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