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POTENZA – «Sono stanco, è vero, ma mica metto in liquidazione la mia storia e quella da cui provengo». Però diciamolo, consigliere, al Pd serve uno scossone. «Sì, ce lo dobbiamo dare tutti».
Marcello Pittella (in foto) si mette dentro il “gruppo”, perché «il nostro centrosinistra soffre già abbastanza di individualismi». Il consigliere regionale che dall’area Sud è tornato a viale Verrastro come il più votato in assoluto e da «semplice consigliere», non se la tiene. «Non l’ho mai fatto. Sono anima critica, ma costruttiva». E così propone, riflette e non si sottrae al ragionamento su un partito che, all’esterno, sembra a rischio implosione, tra fibrillazioni più o meno plateali, posizioni discordanti, continui tavoli in frantumi. Sullo sfondo, una delle peggiori crisi economiche degli ultimi decenni che non risparmia certo la Basilicata.
«Vuole che le dica quando ho cominciato a percepire il malessere dei cittadini nei confronti della politica? Provi a pensare a che cosa significa avere una coda di gente davanti a casa, che chiede legittimamente aiuto, anche per cose che non sono in grado di offrire. Si arrabbiano, dicono “siete tutti uguali, pensate solo alle cose vostre”. Ci sto male a finire dentro la casta, lavoro seriamente, dormo solo 5 ore a notte, ma me la tengo, perché non mi tiro fuori dalla responsabilità collettiva». La sensazione, dice, è che se si continua così, difficilmente le cose buone varrà la pena raccontarle. «La gente è così stanca che non ci crederà più».
Ecco il problema dei problemi, la credibilità. Tema che Pittella ha posto anche nell’ultima riunione di gruppo regionale, ad inizio settimana. Non è del tutto soddisfatto dei risultati ottenuto fino ad oggi da questa giunta regionale e da questo consiglio regionale. «Abbiamo brillato poco», ammette. «C’è un serio problema di coesione interno al partito e all’intera cooalizione». Sa bene che sia da Potenza, sia da Matera, negli ultimi tempi, tornano alla ribalta delle cronache «schemi di filiera», quasi un appuntamento fisso in tempi di nomine o candidature. Credibilità, allora, «è anche non usare due pesi e due misure: il rigore usato per Arbea, deve valere per i Consorzi, per l’Alsia. E poi, bene l’abolizione dei vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali, come proposto da Folino, ma allora perché non pensare anche agli enti inutili?».
La ricetta? «Non ne ho. Faccio solo rilevare che se questo è il tempo della sobrietà e del decisionismo, deve esserlo fino in fondo».
Il punto è che forse, oggi, «manca la forza per scardinare questo groviglio. E le assicuro che l’insofferenza cresce tra i cittadini, tra gli elettori, tra i nostri piccoli amministratori che si sentono soli, ma anche tra chi ha ruolo istituzionale e la politica la fa sul serio». No, non è “scocciato”. Ma stanco sì, lo ripete spesso.
Pittella si appassiona, alza i toni, racconta del territorio girato in lungo e in largo per incontrare sempre più cittadini, sempre più delusi. «Troppi balletti a cui assistere. E’ vero, poi il Pd riesce sempre a fare quadrato, ma a che prezzo?». Che poi mica sempre si fa quadrato. In sede di assestamento di bilancio, il voto sui provvedimenti in materia di urbanistica, ha visto il Pd su fronti diversi. «Ma come è possibile su questioni tanto delicate?». Vale per il lavoro («Ma quando affronteremo in modo strutturale il tema del precariato? Fino a quando continueremo a mettere delle pezze?»); vale per l’ambiente («Possiamo abdicare in favore di associazioni o singoli il dibattito sul nostro territorio?»).
Sembra un secolo fa, la politica è cambiata, «c’era una tensione morale diversa. Ma è vero pure che è diversa la contingenza. So bene che se la Regione fino ad oggi ha sostituito le carenze della programmazione statale, oggi le condizioni economiche per farlo non ci sono più. E ci si arrovella, ci si demoralizza, ci si arrabbia».
«Innamorato» com’è della politica, sa perfettamente che nel Pd, «troppo spesso avvitato sul posizionamento politico», c’è bisogno di un «richiamo alla responsabilità collettiva». Anche a costo di qualche no ai cittadini: «Non possiamo avere paura di perdere consenso. Non se il Pd è chiamato a salvare la Basilicata».
Si racconta Pittella e descrive un certo senso di amarezza nello scoprire che certe battaglie si infrangono nel nulla, magari dopo una lunga trafila. «Serve più colleggialità. Il governatore De Filippo non può stare su tutto, con il rischio che su di lui ricada ogni effetto, nel bene e nel male. E finisce che anche le discussioni sul merito dei temi siano depotenziate». Anche per questo ha presentato un’interrogazione sui fondi destinati all’Unibas: che risultati hanno prodotto? Questione di programmazione e di obiettivi. Non per forza solo di risorse economiche. «L’orizzonte resti il programma».
Soprattutto se poi c’è da fare i conti con un centrosinistra piuttosto eterogeneo (e poco compatto). «E’ chiaro che prima o poi certe vicende vadano affrontate». Come il doppio livello di partiti come l’Api e l’Udc in maggioranza lucana e nel Terzo polo a Roma. «Il Pd ha una vocazione coalizionale, ma non può diventare un cappio».
Non può più essere, dice, che quasi-quasi i cittadini abbiano ragione a lamentarsi: «Li capisco, vedono solo bizze, “cincischiamenti”. C’è un limite oltre cui non si può andare». E quel limite è vicinissimo. Tanto quanto basta, però, «per avere ancora un po’ di terreno da recuperare. Discutendo nel merito sui tempi importanti, il Pd può farcela».

Sara Lorusso

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