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di GIANNI PAONE
Premessa. Nelle mie due residenza abituali, una a Roma e l’altra in Calabria, possiedo, complessivamente, oltre diecimila volumi, acquistati nel corso degli anni, che spaziano dalla saggistica alla narrativa, dall’arte all’economia, e che risentono dei miei interessi legati a quel o quell’altro momento specifico, a quel particolare contesto, a quella determinata emozione, a quella speciale curiosità. Un mondo che mensilmente si incrementa con qualche nuovo arrivo. Molti di questi testi sono stati acquistati in librerie, molti altri nei mercati o nelle bancarelle più svariate. Per molti di loro ho pagato il prezzo di copertina per molti altri ho usufruito di sconti o di particolari svendite. Tutti, comunque, sono stati acquistati per libera scelta e con convinzione. Nessuno di questi libri è stato acquistato “a peso” solo perché costava poco. Penso che questo sia l’atteggiamento della grande maggioranza dei lettori ed acquirenti dei libri. Antefatto. Il primo settembre 2011 entrerà in vigore la legge n. 128 del 27 luglio riguardante la “Nuova disciplina del prezzo dei libri”. La legge che prende il nome dal senatore del Pd che l’ha proposta (Levi) ed ha avuto l’adesione anche bipartisan (tra i firmatari anche il senatore Asciutti del Pdl) vuole disciplinare la percentuale massima di sconto che può essere applicata sui libri in vendita ponendo il limite del 15%, ad esclusione delle campagne promozionali (non più di un mese e non più del 25% di sconto). In questi giorni ho ricevuto moltissimi messaggi, telefonate, segnalazioni, sulle possibili conseguenze dell’applicazione di questa legge. Molti manifestavano la loro preoccupazione, altri ancora la più profonda indignazione. Nell’approfondimento della vicenda che, confesso, mi ha colto di sorpresa proprio perché si inserisce in un quadro generale, lo scenario italiano, molto preoccupante, ho constatato che le posizioni si dettagliavano e argomentavano facendo emergere punti di vista molto differenti. Ma andiamo con ordine. L’insieme delle valutazioni espresse, che ho sentito o letto, può essere catalogato in due distinti raggruppamenti: il primo comprende coloro i quali esprimono soddisfazione per la promulgazione della legge; il secondo include coloro che, al contrario, manifestano un giudizio fortemente negativo. Alla prima categoria appartiene la maggioranza delle case editrici italiane, l’associazione degli editori e, in misura ancora più forte, i librari e la loro associazione; della seconda categoria fanno parte soprattutto i consumatori finali (la stragrande maggioranza) e qualche editore. Senza voler entrare nel merito della legge e negli aspetti tecnici della sua applicazione mi sembra interessante far emergere alcune contraddizioni paradigmatiche dello stato di confusione in cui versa la classe politica italiana. Primo aspetto. La legge è una legge firmata da esponenti di entrambi gli schieramenti ed ha come primo firmatario un esponente del Pd. Se le due categorie nelle quali è possibile collocare le centinaia di risposte e le dichiarazioni che in questi giorni circolano nella rete e non solo, rappresentano un valido indicatore del rapporto tra politica e società si dovrebbe concludere che, sia il Pd che il Pdl, nella definizione della legge contro gli sconti sui libri, si sono ritrovati stretti a braccetto nel difendere gli interessi di editori e librai (e quindi di associazioni che, come spesso accade in Italia, sono sinonimo di corporazioni) a discapito dei lettori. E’ in altre parole un intervento proibizionista, in contrasto evidente con gli articoli 9, 21 e 41, della Costituzione e che contraddice le dichiarazioni di principio che, Pd e Pdl, spesso fanno sulla necessità di riformare in senso liberale le leggi. Secondo aspetto. La legge, nei fatti, intacca il principio della concorrenzialità (che dovrebbe essere tanto caro ai partiti di destra) tesi, tra l’altro, sostenuta, con serie motivazioni, dall’Istituto Bruno Leoni che, in tal senso ha presentato una petizione al Presidente della Repubblica contro la legge; la legge Levi inoltre intacca il diritto del consumatore, del lettore e del cittadino (tanto caro ai partiti di sinistra) di poter usufruire, secondo sua libera scelta, del prodotto migliore al prezzo migliore. La legge quindi nei fatti imbriglia il mercato a tutto svantaggio dei lettori (che in questo caso sono anche consumatori). E’ il tentativo, peraltro semiserio, di chi vuole risolvere un problema creandone un altro ancora più grave. Questa legge è un favore agli editori ed ai librai a danno dei lettori e, in fin dei conti, degli stessi libri. Terza contraddizione: si tenta, con questa legge, di colpire le librerie on-line che, negli ultimi anni hanno avuto un grande successo di vendite e di consenso. Se alcuni esponenti del Pd, come il senatore Vita ha affermato in aula, sostengono che i libri sarebbero minacciati dalla vendita online e dagli ipermercati del libro significa che a sinistra (come a destra) si continua, almeno in Italia, a stare chiusi in una torre d’avorio sempre più distante dalla società. Nell’era del digitale, del self-publishing, degli e-book, degli I-Phone, ovvero di tutte quelle possibilità oggi reali che fanno solo intravedere una parte delle enormi potenzialità e possibilità che ci riserva il prossimo futuro, ebbene, a tutto questo si risponde con una misura cha ha tutto il sapore anacronistico di chi sta fuori dal mondo e dalla storia.

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