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EGREGIO direttore,
mi risolvo a scriverti questa lettera aperta dopo aver letto l’intervista pubblicata recentemente dal tuo giornale all’intellettuale lucano Andrea Di Consoli, giornalista e scrittore di fama.
In origine, avevo in animo di confutare gran parte delle tesi sostenute da Andrea ma, procedendo, mi son reso conto che l’opera diventava monumentale e quindi inutile.
Vedi, direttore, commentare Toghe Lucane non può prescindere dal conoscerla e “pacificare gli animi” non può risolversi nell’abusato “chi ha dato, ha dato; chi ha avuto, ha avuto”.
Né può costituire valido supporto l’estrema sintesi che opera Andrea (e molti altri con lui) riducendo tutta quella ponderosa inchiesta fatta di duecentomila pagine, 118 faldoni e non ricordo più quanti Cd al decreto di archiviazione. Veramente si pensa che qualcuno dotato di buonsenso possa accontentarsi di una archiviazione ottenuta dal Pm Capomolla dopo aver smembrato l’inchiesta e distribuito gli atti d’indagine in procedimenti stralcio che ne hanno frantumato la logica e diluito la valenza probatoria?
Non si tratta di esprimere opinioni, come se si parlasse della formazione dell’Italia Football club, ma di prendere atto del giudizio che ne ha dato la Procura Generale di Catanzaro. Il Pm Eugenio Facciolla si è spinto a scrivere che “il Giudice ha violato la Legge” quando ha archiviato lo stralcio “Marinagri” e su questa base ha proposto appello. No, Toghe Lucane non è del tutto “archiviata” ma, anche se così fosse, non si può lasciar credere a quei (troppo) pochi lucani che leggono i giornali che non vi fossero elementi ed evidenze degne almeno di giudizio politico che, come sostiene anche Di Consoli, è dovere formulare ed utilizzare per trarne conseguenze operative.
Il “disastro Basilicata” ha precisi responsabili, nomi e cognomi che non possono passare alla storia come i migliori politici di questa martoriata regione. Dimentica (Di Consoli) gli slogan di recenti campagne elettorali? Chi crede che abbia inventato “Basilicata che bello!” oppure “La Basilicata che sa governare”.
Chi crede che abbia inventato “Basilicata, isola felice”?
Ignora (Di Consoli) che il Sostituto procuratore Felicia Genovese è stato trasferito e destinato a funzioni collegiali perché non si astenne (come prevede la Legge) dal trattare vicende giudiziarie che riguardavano Filippo Bubbico ed altri assessori e funzionari regionali mentre il di lei marito (Dottor Cannizzaro) concorreva per la nomina a Direttore generale del San Carlo?
Ignora che il Sostituto procuratore Felicia Genovese è stata trasferita perché omise di iscrivere nel registro degli indagati Giuseppe Labriola e ne ottenne in cambio il sostegno di Emilio Nicola Buccico, allora membro del Csm, per diventare consulente esterno della commissione antimafia?
Ignora che quel Pm omise di sequestrare, nonostante le istanze ed i solleciti della polizia inquirente, i vestiti sporchi del sangue di Danilo Restivo e di chissà cos’altro, ritardando di quasi vent’anni l’inchiesta sulla tragica morte di Elisa Claps?
Ignora che Felicia Genovese e Michele Cannizzaro hanno querelato per diffamazione il giornalista che aveva raccontato della incompatibilità della prima a trattare vicende in cui aveva un ruolo non trascurabile il secondo ed hanno dovuto soccombere al lapidario giudizio del Gup Dottor Antonio Giglio: “… la notizia riportata dall’articolista era vera: la dottoressa Genovese si astenne “non prima … di richiedere l’archiviazione del procedimento a carico dei datori di lavoro di suo marito e solo dopo il rigetto dell’archiviazione”.
Molte altre cose, ignora Di Consoli ma ciò non toglie che possa stimare chi gli pare ed augurarsi quanto di meglio per le persone che più gli piacciono. Però l’informazione giornalistica è altra cosa dall’esprimere un giudizio o manifestare la propria opinione.
L’informazione è raccontare fatti e rendere noti documenti che il lettore deve poter conoscere per formarsi una sua propria idea, nel caso di specie della Basilicata. Una terra ricca di risorse e povera di uomini coraggiosi.
Dove l’amministrazione della giustizia è confusa con l’esercizio delle opinioni e la legalità si vuol far credere sia un’utopia da cavalieri un po’ svitati.
Fortunatamente, c’è qualcuno che resiste. Che paga un prezzo molto più alto di quello cui Andrea dichiara di essersi sottratto, ma che lo paga con levità, senza piagnucolii e martirologi.
Perché una fondamentale verità esperienziale occorre tener presente prima di iniziare un’intrapresa: una vera battaglia comporta un vero prezzo da pagare.
C’è spazio per tutti, ma solo a questa condizione.
Il resto sono chiacchiere da bar o da intellettuali ateniesi. La rivoluzione dei vecchi: ma siamo completamente impazziti?
Nicola Piccenna
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