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di MASSIMO COVELLO
Caro direttore, l’ulteriore manovra finanziaria decisa dal Consiglio dei ministri, “per salvare il Paese”, contiene una sua intrinseca coerenza: è una manovra di classe contro i lavoratori, ipensionati, le famiglie e le persone meno abbienti. Facile dedurne che è, nel contempo, contro il mezzogiorno e la Calabria, in quanto luoghi in cui da più tempo si concentra strutturalmente la condizione di maggiore povertà economica e sociale. Oltre la persistenza nel continuare, in nome del risanamento dei conti pubblici, a ridurre i servizi, ormai abbondantemente oltre la soglia dei livelli minimi essenziali, nella sanità, nella scuola, nei trasporti, ecc. la parte più odiosa della manovra sta, a mio parere, nel voler continuare a mercificare tutto, a ridurre gli spazi di democrazia, nel lavoro prima di tutto e poi anche nel governo delle comunità, nella gestione del territorio e dei servizi. In poche parole, in nome del risanamento e del contrasto alla crisi, si propugnano con accanimento le fallimentari ricette, di un liberismo monetarista, tese a privatizzare tutto, a speculare su tutto, che sono la causa essenziale della crisi mondiale, continuando a spostare la ricchezza, dal lavoro, dai salari e dalle pensioni ai profitti e alle rendite. Certo la manovra così impostata, dal governo Berlusconi anche se lui sostiene che è stata colpa della Bce, segue una traiettoria precisa: difendere i ricchi, gli evasori, gli speculatori, le caste, a ogni livello. Una traiettoria per molti aspetti alimentatrice di quella “economia criminale e della illegalità” che tanta parte ha assunto nel sistema del nostro paese, che permea drammaticamente la nostra realtà regionale, e che rischia di essere vista come l’unica possibile nella condizione data. È una scelta inaccettabile che va sconfitta, culturalmente, politicamente, socialmente. Quello che stiamo vivendo è un passaggio epocale. Se nel nostro Paese prevalesse, come sembra probabile, una incomprensibile “unità di intenti” poggiata su queste premesse, per davvero sarebbe detta la parola fine sulla “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Per questo servono scelte di campo precise e opzioni politico-programmatiche nitide, a partire da quelle che devono compiere i sindacati e per quanto mi riguarda la Cgil, che pur ha criticato aspramente e immediatamente tale manovra. Non è tempo di formule equivoche a partire da quelle “parti sociali” che giocano con due mazzi di carte. Perché proprio il lavoro, e la sua rappresentanza sociale e collettiva, già fortemente aggredito, impoverito, precarizzato, deprivato di valore, tutele e diritti in questi anni nel settore privato e nel pubblico, dalla manovra esce definitivamente mercificato e distrutto nella sua valenza sociale. Infatti con la manovra è stato portato a compimento il disegno strategico di abolire il contratto collettivo nazionale di lavoro, di abolire con l’art. 18, l’intero statuto dei lavoratori, addirittura di azzerare il diritto di sciopero. È stato addirittura garantito con valenza retroattiva il modello “Marchionne”. Se passasse questo progetto di società, altro che recupero di competitività e rilancio della crescita, sarebbe la sconfitta definitiva e assoluta del compromesso democratico della nostra Costituzione, che ha regolato, nel bene e nel male, il più lungo periodo di progresso e di benessere che il nostro Paese ha avuto. Eppure un’altra strada c’è ed è possibile. È la strada che mette al centro le persone, il lavoro, i beni comuni, i servizi pubblici, la valorizzazione delle risorse del territorio, la capacità di produrre assumendo come valore e non come vincolo la responsabilità sociale dell’intrapresa, la partecipazione responsabile e la democrazia. La maggioranza degli Italiani, anche nella nostra regione, con la recente scelta referendaria ha detto chiaramente di volere questa strada. Di essere contraria alla mercificazione dell’acqua, di essere contraria alla privatizzazione dei servizi pubblici e di volere una gestione degli stessi qualificata efficiente e rispettosa del lavoro inglobato. Proprio nella nostra Regione questa altra politica deve trovare nei prossimi mesi il terreno di maggiore esplicitazione, facendo emergere la subalternità e la pochezza di un governo regionale parolaio e subalterno. Si tratta quindi di promuovere un forte e combattivo movimento di lotta, locale e nazionale, contro la manovra del Governo, capace di reggere la mobilitazione generale e generalizzata; di promuovere un fronte compatto e coerente, di soggetti sociali, politici, istituzionali, a sostegno di una proposta di riorganizzazione del sistema delle AA.LL., dei servizi pubblici, del sistema produttivo, per creare nuove occasioni di crescita sociale ed economica. È una sfida alta ma se sapremo coniugare lotte e proposte, se sapremo ripensare come, cosa e perché produrre, se vorremo costruire una democrazia compiuta al servizio del benessere della collettività, potremo fare della crisi una occasione di radicale rinnovamento per il bene di tutti.
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