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di CLAUDIO CAVALIERE
“Obbligati”. È questa la parola più utilizzata per giustificare quanto sta avvenendo, non nell’ultimo mese, ma da almeno tre anni sul versante della finanza pubblica e nelle misure verso il sistema delle autonomie locali. Ogni manovra, ogni intervento è stato sorretto da questa scusante per evitare qualsiasi confronto di merito e per introdurre interventi raffazzonati, smentiti nei fatti il giorno dopo, una “legislazione del degrado” che ormai non risparmia nessun ente locale a qualunque latitudine. Solo nell’ultimo anno sugli enti locali si sono riversate ben quattro manovre e una normativa non di sistema che ha previsto tutto e il contrario di tutto, con l’unico effetto di deprimere la spesa per gli investimenti pubblici che nel paese è in maggioranza realizzata dai Comuni. Si è partiti con la “storia” del federalismo fiscale subito smentita da un Governo che ha impedito l’autonomia impositiva degli enti locali, ha cancellato l’ICI sulla prima casa, ha imposto un Patto interno di stabilità soffocante mentre ha aperto i cordoni della borsa per Catania, Palermo e Roma, che non si possono definire i Comuni più virtuosi d’Italia. Si è proseguito bloccando l’addizionale Irpef comunale per poi liberarla quasi come unica misura per recuperare il taglio dei trasferimenti statali, dimentichi che si tratta di una imposta sul reddito da lavoro dipendente che obiettivi di sostegno alla crescita, suggerirebbero di detassare. Un Governo che prima ha raccomandato con legge la ristrutturazione del debito mettendo i Comuni in mano a banche con derivati e swap per poi fare una precipitosa marcia indietro. Un Governo, sempre lo stesso, che prima ha sollecitato la costituzione di società strumentali degli enti locali come mezzo per svincolarsi dal patto di stabilità, per poi vietarle. Un Governo, che da un lato impedisce ai Comuni di pagare imprese e fornitori per poi inserire una norma che prevede la cessione del debito alle banche che, notoriamente, offrono gratis questi servizi. Un Governo che prima crea il fondo di riequilibrio per i Comuni per poi tagliarlo, dopo nemmeno un mese, del 35%. Un Governo che ha creato nuove province per poi arrivare a dire che occorre eliminarle con il trucco della dimensione territoriale. L’ultima nequizia riguarda l’intervento sui Comuni con meno di mille abitanti che nella manovra ferragostana è presentata sotto il titolo di “Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei Comuni”. Nei 72 Comuni calabresi con meno di mille abitanti la spesa media della rappresentanza politica (sindaco, giunta e consiglieri) ammonta, al lordo, a meno di 27mila euro annue; il gettone di presenza consiliare è pari a 17,04 euro e un assessore percepisce una indennità mensile di 129 euro. Retorica per retorica l’indennità mensile lorda di un parlamentare vale la spesa per un anno; con il compenso annuo di un presidente di una delle 15 autorità di vigilanza italiane è possibile pagare le spese politiche di un Comune con meno di mille abitanti da un minimo di 10 a un massimo di 20 anni! Al di là della correttezza formale della norma – che deroga al Tuel senza prevederne l’espressa modificazione – che questo sia il classico “specchietto” per le allodole lo dimostra la circostanza che l’obbligatorietà della gestione associata – e per i Comuni fino a 5mila abitanti – sta già nel decreto legge del 31 maggio 2010. Insomma non si arresta la spirale perversa dei decreti legge improvvisati, uno stillicidio di misure superficiali pensate dai pochi e subite dai più. Non c’è un piano organico sulla base di analisi complete e approfondite ma si interviene con iniziative parziali che pizzicano qui e là solleticando gli umori del momento, disseminando furbizie a mani basse e addossando agli enti locali sacrifici oramai insopportabili in un sistema di declinante oligarchia. Se quella che si sta consumando non fosse una vera tragedia per la vita reale di milioni di persone si potrebbe pensare che i nostri governanti siano convinti di avere come interlocutori dei perfetti imbecilli. Cittadini con l’anello al naso. L’epopea del buon selvaggio.
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