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«VA bene, ma le piccole cose?», quelle che fanno qualità della vita? La gente, a Potenza, lo ripete da tempo. Perché vanno bene i progetti, le grandi opere, ma è sul quotidiano che Potenza, città stretta tra debiti e tagli, è in sofferenza. E quando la vita di tutti i giorni fa i conti con servizi al minimo o, peggio, a rischio (come la manutenzione delle strade e le mense scolastiche), è difficile pensare che ci si possa anche occupare degli altri. Potenza vive il suo paradosso: capoluogo che fa fatica a pensare a se stesso, ma che non può (né deve) rinunciare a pensare anche al resto del territorio. E’ proprio il ruolo di capoluogo che appare sempre più spento.
La mancata citazione della città sul numero speciale del bimestrale turistico Qui touring, dedicato alla Basilicata, ha aperto un importante dibattito su quanta attenzione riservi la Regione alla sua città più grande. Poca, almeno a dare retta a una percezione piuttosto diffusa. Il “fattaccio” (come ironicamente citano a viale Verrastro) è stato, in realtà, un fatto simbolico. Potenza non può avere la pretesa di essere città turistica tout court. Le quattro M, (Matera, Maratea, Melfi e Metaponto), le aree su cui le politiche di sviluppo turistico regionale puntano, hanno vocazioni adatte a incanalare flussi di visitatori. Non c’è contrapposizione, e bene hanno fatto Comune e Provincia di Potenza ad aderire al comitato promotore di Matera città cultura 2019.
Il turismo di Potenza, come aveva fatto notare tempo fa lo stesso direttore dell’Apt Giampiero Perri, è di tipo diverso: un turismo di affari e di passaggio, su cui pure bisogna ragionare, pensando a flessibilità del settore commerciale, infrastrutture, decoro. Ecco perché nasce il “caso” della mancata citazione di Potenza nel bimestrale: è nella sua accezione di capoluogo che Potenza manca, a dispetto della sua storia, delle sue attrazioni (ce ne sono anche qui), a dispetto di un luogo che va scoperto (fosse pure in una toccata e fuga) e, ancora, nonostante l’investimento in inserzioni pubblicitarie di viale Verrastro. Ed è da qui che si ripropone il dibattito sulla città poco amata dalla Regione e dal suo presidente Vito De Filippo. In rete e via comunicati, si va avanti da qualche giorno. Accuse e smentite. «Polemica strumentale».
Che tra il governatore lucano e il sindaco della città, Vito Santarsiero, non corra buon sangue è cosa risaputa. In politica, dicono, non c’è nulla di personale. Fatto sta che i tira e molla su finanziamenti, atti, procedure tra i due livelli diventano spesso rimpalli sui ritardi. Da qualche tempo, vista la nota carenza delle casse comunali, diversi amministratori della città hanno proposto di destinare parte delle royalties al capoluogo. I servizi di Potenza – è questo il messaggio – sono destinati a una popolazione più ampia di quella residenziale, compresi i cittadini delle zone di estrazione.
Il nodo della questione è tutto dentro i numeri con cui Potenza deve fare i conti. Lo ripete spesso, Santarsiero, e gli fa eco anche l’opposizione. Ai 70 mila abitanti, se ne aggiungono quotidianamente altri 40, pendolari della scuola, del lavoro e dello svago. «Una città nella città» che consuma strade, ha bisogno di trasporti, produce rifiuti. Eppure il Potentino è ancora senza una discarica e dell’ampliamento della vasca di Pallareta si è ancora in attesa. E le scale mobili? Il contributo regionale che permette di tenere aperti questi costosi impianti è destinato anche ai “forestieri”. Più volte, in questi giorni, da viale Verrastro e dintorni è stato fatto notare che, però, Potenza ha ricevuto i Pisus. Quaranta milioni di fondi europei che la Regione ha vincolato sulla città, concedendone altri 20 a Matera. Un regalo? Sono fondi comunitari destinati alle aree urbane: solo Potenza e Matera possono, al momento, considerarsi tali. E poi c’è Palazzo di città, chiamato a offrire uffici più efficienti, meno sprechi, gestione più trasparente di servizi importanti come quello del trasporto pubblico. In fondo, la città, prima che il capoluogo, si misura da qui.

Sara Lorusso

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