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di DOMENICO TALIA
Le ferite sono ancora aperte e dunque anche quando viene ripubblicato in una collana di libri diviaggio un testo apparso qualche decennio fa, come fosse una vecchia cronaca di un viaggiatore straniero (Giorgio Bocca sicuramente lo è in Calabria), la discussione e le polemiche nascono e si sviluppano forse oltre le attese di chi ha curato la nuova edizione del libro. Bene ha fatto l’editore Rubbettino a precisare il contesto e gli obiettivi per cui è nata la nuova pubblicazione delle note di Bocca sulla nostra terra. Ma, dicevamo, le ferite sono aperte e sanguinanti, per cui le parole del giornalista piemontese non possono essere lette come quelle di altri viaggiatori, come Norman Douglas o Edward Lear, che hanno fatto della loro narrazione di viaggio sulla terra di Calabria grande letteratura. I problemi di cui parla Bocca sono ancora in gran parte presenti in Calabria ed alcuni anche in forme più grevi e complesse che in passato. Allora discutere di questo libro, di cose scritte venti anni fa, non è un esercizio inutile e non può essere fatto come se si discutesse di uno dei tanti carnet di viaggio del Grand Tour. Può e deve essere, al contrario, un modo per capire meglio cosa è oggi la nostra regione e cosa potrà esserlo domani anche in funzione di cosa i calabresi e i loro connazionali sapranno fare per cambiare le tante cose che non vanno e tentare di migliorare quelle che invece vanno, ma potrebbero andare anche meglio. Faremmo tutti un errore nell’assumere un atteggiamento difensivo rispetto agli scritti di Bocca, magari affidando ad altre e lontane responsabilità le colpe per le difficoltà antiche e moderne della Calabria e del Sud d’Italia. Come se noi fossimo privi di responsabilità per il difficile stato di cose della nostra terra e tutto fosse determinato a Roma, a Milano o a Torino. Al contrario, siamo tutti responsabili in Calabria, ognuno per la propria parte, ed in misura più o meno simile ai molti responsabili di tante arretratezze della Calabria che stanno a Roma, a Milano o a Torino. Per queste ragioni non è certo l’alienazione dalla responsabilità o addirittura dalla colpa che può migliorare la situazione di un regione che è in forte difficoltà, ma che nel contempo non è l’inferno, perché presenta tanti aspetti positivi che spesso da Roma o da Milano non vengono visti o quando vengono visti generano una ipocrita sorpresa, quasi che in Calabria non possano esistere cittadini, imprese o fatti virtuosi e in tanti casi anche di eccellenza. Certamente Bocca ama i toni estremi, gli piace sottolineare i lati più oscuri delle cose, privilegia le tinte forti. E’ un suo stile giornalistico che, tra l’altro, tanti apprezzano in Italia e anche fuori dall’Italia. In più, è certo che Bocca quando parla del Sud ci va giù duro, non usa mezze misure e mette in campo gli stereotipi antimeridionali con stile rendendoli, se possibile, più pericolosi e più accattivanti allo stesso tempo. Tuttavia, nessuno in buona fede può pensare che il mare sporco, la violenza barbara delle faide, i voti acquistati per 100 euro, le case costruite in ogni dove e mai finite, le ‘ndrine, i mille clientelismi a cui assistiamo quotidianamente, siano colpa di Giorgio Bocca. E se, a volte, lui nello scrivere su di noi quasi si entusiasma perché pensa di parlare di gente di cui si sente migliore, dobbiamo avere pietà per il suo ego, ma allo stesso tempo dobbiamo saper riflettere sulle sue parole per prenderne comunque la parte utile. Quella parte che può aiutarci a migliorare, perché la Calabria e i calabresi certamente possono e debbono migliorare in molte cose. Non dobbiamo avere paura ad osservarci anche con gli occhi degli altri se questo può servire a farci diventare cittadini migliori e a migliorare la nostra terra. Allo stesso modo, dobbiamo imparare che rispondere soltanto con il consueto e trito orgoglio di meridionali alla ostentata superiorità di qualche giornalista piemontese non serve a rendere migliore la nostra regione. Sono i fatti quelli che contano e pesano, molto più delle parole e dell’alterigia. Impariamo ad assumerci le nostre responsabilità e saremo più credibili quando richiameremo le classi dirigenti nazionali alle loro responsabilità che sono molte o quando ricorderemo a giornalisti, anche prestigiosi, che anche da parte loro è necessaria e dovuta una onesta attenzione per una regione che è ancora schiacciata tra uno Stato e una politica nazionale che non si interessano ad una terra di margine come la nostra e che spesso sono stati alleati o dirigono le tanti classi dirigenti calabresi subalterne al potere centrale e che hanno costruito e mantenuto il loro potere locale sulle clientele e sul bisogno tenendo la Calabria lontana dallo sviluppo. Questi signori hanno certamente più colpe di Giorgio Bocca nel dileggio della Calabria. La nostra regione ha bisogno di onestà di ragionamenti, atti civili, buona amministrazione e una dinamicità sociale che attualmente non ha e che neanche i tantissimi giovani disoccupati sembrano riuscire a invocare e a sviluppare. Iniziamo al nostro interno i processi di cambiamento e così risponderemo a coloro ai quali piace credere ad una Calabria irrimediabilmente persa. Così diventeremo interlocutori credibili nel rivendicare e ottenere anche la giusta cronaca per la nostra regione.
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