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LA proposta di legge di Alessandro Singetta, consigliere Api, è semplice
semplice. Prevede che Acquedotto lucano da società a capitale pubblico e
gestione privata diventi tutta pubblica, in modo da favorire innanzitutto
la trasparenza.
Oggi, se vuoi sapere quante consulenze siano state affidate, quali
incarichi, che personale sia stato assunto e con che modalità di selezione,
la spa non è tenuta a informare la Regione e dunque i cittadini. Una
società privata gestisce, su mandato della Regione e dei sindaci soci, una
ingente quantità di capitale pubblico, senza che il pubblico – però – possa
fungere da organismo di tutela e di controllo. E poi c’è il referendum, che
in maniera inequivocabile, anche in Basilicata, afferma il principio che
l’acqua sia un bene pubblico e che pubblica debba essere la sua gestione.
Dunque via profitto, rischio d’impresa, mercato e tutto quanto sia
strettamente collegato ad un’attività imprenditoriale. Gli articoli
successivi ci mettono dell’altro. Istituiscono un fondo regionale per i
residenti e un altro di solidarietà internazionale per finanziare progetti
in paesi esteri, ossia quelli in cui l’acqua scarseggia e che sempre hanno
bisogno di nuovi pozzi. La proposta, essendo tale, potrà essere migliorata
o peggiorata, come afferma lo stesso Singetta nella conferenza stampa di
presentazione della stessa, ma ha il vantaggio di essere la prima che salta
fuori, se non l’unica, dal momento che pure i comitati promotori dell’acqua
pubblica, dopo striscioni, manifestazioni e pressioni sulla giunta
regionale nel periodo caldo della ricerca del quorum, non dicono più una
parola ora che sull’acqua pubblica si fa sul serio. E allora, perché
l’acqua sia veramente pubblica: «Il servizio idrico integrato della
Basilicata è affidato ad un’azienda pubblica regionale che realizza la
parte prevalente della propria attività con l’ente pubblico che la
controlla (…) e con l’obbligo del reinvestimento nel servizio di almeno
l’80% degli avanzi netti sulla gestione». Per garantire a tutti il diritto
ad usufruire «della disponibilità e l’accesso all’acqua potabile come
diritti inviolabili e inalienabili della persona umana», è istituito un
fondo la cui gestione «è affidata al gestore del servizio idrico integrato
di concerto con l’organismo di indirizzo e controllo del servizio idrico
integrato».
Per una gestione regionale dell’ente pubblico: «Con la presente legge è
istituita l’Azienda pubblica regionale denominata Acquedotto lucano. L’AL è
amministrata in forma di azienda pubblica regionale (sulla falsa riga di
quello pugliese, ndr). E’un soggetto di diritto pubblico, non ha finalità
di lucro». E ancora: «L’Al può gestire attività diverse dal servizio idrico
integrato, ma da esso rivenienti, attraverso la costituzione di società
anche miste, nel rispetto della normativa comunitaria e anche statale in
regime di pubblicità delle procedure e concorrenza, destinando gli utili
propri a investimenti diretti esclusivamente al miglioramento del servizio
idrico integrato». L’Acquedotto lucano subentra nel patrimonio e «in tutti
i rapporti attivi e passivi» di Acquedotto lucano spa, «conservandone i
compiti istituzionali». Gestisce il servizio idrico sulla base di principi
strettamente tipici del pubblico e cioè la «trasparenza degli atti, accesso
pubblico alle informazioni aziendali e potere alla cittadinanza di
osservazione e proposta» sugli atti di governance aziendale. La legge
istituirebbe poi il «consiglio di sorveglianza», costituita da associazioni
ambientaliste, consumatori, sindacati. Comitati di cittadini, con «poteri
di controllo». Un bel protagonismo per chi da sempre predica la necessità
della partecipazione dal basso. Se, però, qualcuno pensa che sia questa la
parte più rivoluzionaria della proposta, si sbaglia di grosso. Si legge,
infatti, all’articolo otto: «L’amministrazione di Al è affidata a un
amministratore unico», nominato dal presidente della Regione. Dunque via il
consiglio d’amministrazione (e conseguenti lottizzazioni delle nomine
relative) e potere totale ad un fiduciario dell’ente pubblico.
L’amministratore dura in carica tre anni e può essere nominato una sola
volta, anche non consecutiva. Per legge il personale in servizio oggi ad
Acquedotto lucano spa dev’essere trasferito alla nuova azienda pubblica e
svolgere le stesse funzioni. Acquedotto lucano nuova versione è sottoposto
alla vigilanza della Regione Basilicata, il presidente nomina ma pure
revoca – motivandolo – l’amministratore unico, esattamente come si fa con
gli altri enti regionali. Infine acqua gratis, nella misura del 18% degli
avanzi netti di gestione, per le utenze domestiche delle famiglie a basso
reddito. «C’è una sola norma che manca – aggiunge Singetta – ed è quella
relativa alla soppressione di Acqua spa», con funzioni e personale
transitanti in Acquedotto lucano.
Dice Singetta: «E’ questa la prima modifica che voglio apportare alla
proposta: un unico ente con entrambe le funzioni». Troppa carne al fuoco,
deve avere pensato il consigliere, secondo il quale però il referendum
parla chiaro: gestione dell’acqua pubblica, punto e basta. Come ragionava
il segretario regionale dei Popolari Uniti dalle nostre colonne, Antonio
Potenza, l’acqua non basta chiamarla pubblica, bisogna che lo spreco si
inizi a tamponarlo a partire dall’eccessiva frammentazione degli enti che
si occupano della sua gestione. Vedremo come il Consiglio prenderà questa
proposta e soprattutto in che tempi.

Rosamaria Aquino

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