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di MATTEO COSENZA
Il ticket sanitario? Perché se gli italiani pagano già le tasse? Parole sagge quelle dell’oncologo più stimato d’Italia e noto nel mondo, già ministro della sanità, Umberto Veronesi, che intercetta un sentimento diffuso di disagio e di rabbia della gente quando ricorda che «il nostro prelievo fiscale è uno dei più alti d’Europa e dà allo Stato un mucchio di soldi». Non ha detto, quindi, che il ticket non va pagato perché colpisce i cittadini, soprattutto quelli più indigenti, ma ha ricordato una verità elementare: in Italia si spende una montagna di soldi per far funzionare la sanità, ma anche per alimentare sprechi, disservizi, ruberie, interessi privati. La sanità è l’abbeveratoio di masse di profittatori di ogni risma, a tratti si dimentica che essa serve a garantire la salute dei cittadini e che la sua funzione prevalente e in molti casi unica è da tempo quella di fornire appalti, lavoro e quant’altro. Abolire il ticket sui farmaci, sulle visite specialistiche e sulla diagnostica. Veronesi punta il dito sulla Finanziaria: «La manovra stabilisce un ticket di 10 euro sulle prestazioni ambulatoriali e uno di 25 euro su quelle di Pronto soccorso. Ma si aggiungono solo a quelli già esistenti». E infine: «I soldi che i cittadini versano allo Stato dovrebbero coprire il fabbisogno in tutti i campi, dalla sanità alla scuola. E invece non è così». Se la sanità funzionasse correttamente, basterebbero ampiamente le tasse che sono pagate dai cittadini, soprattutto da quelli con reddito setacciato dal fisco all’origine, in busta paga, con la pensione o ad ogni acquisto che costa la stessa cifra e la stessa tassa al contribuente corretto e all’evasore con barchette a Porto Cervo e Ferrari in garage. Ecco perché il ticket è odioso e intollerabile, e lo è ancora di più di fronte a notizie come quella relativa all’inserimento nella manovra finanziaria varata dal Governo di una norma che consentirebbe la sospensione in secondo grado, se confermata, della condanna della holding di Berlusconi a pagare il maxirisarcimento alla Cir per la vicenda del lodo Mondadori. Il ticket non sarebbe necessario (ma non ci sono altri rimedi?) se gli ospedali facessero funzionare le loro risonanze magnetiche correttamente e non costringessero i pazienti, di fronte a prenotazioni anche ad un anno, a recarsi presso i laboratori privati dove, sempre a spese dello Stato, ti servono in mezza giornata. Esso sarebbe inutile se non riempissero le strutture sanitarie di personale selezionato non in base ai meriti ma alla segnalazione. Esso non sarebbe neanche concepito se tutti gli appalti fossero aggiudicati in maniera trasparente e controllata. E si potrebbe continuare. Ma qui in Calabria – ed è lo stesso in Campania e in altre regioni – sappiamo bene di che cosa parliamo anche perché vantiamo primati di malasanità che ci vorranno decenni di buona sanità per farli dimenticare. Certo, ci sono medici, infermieri, tecnici, portantini, impiegati bravi e onesti e non vanno messi nel mucchio indiscriminatamente, ma purtroppo il segno generale è quello e finisce con il marchiare ingiustamente anche chi non lo merita. Intendiamoci, scandali e porcherie ci sono anche nel Nord come la cronaca ci ricorda spesso, ma indubbiamente lì risultano essere malattie del sistema e non, come da noi, obbligatoriamente un sistema, e in ogni caso non si dimentica lo scopo primario di fornire un servizio valido ed efficiente al pubblico. In genere chi ricorre al ticket è destinato alla sconfitta sia perché adotta un provvedimento iniquo per le ragioni ricordate sia perché quasi sempre esso non è contestualizzato in un progetto di riforma che introduca in un mondo così sofferente e disastrato elementi di modernità, efficienza, eccellenza e moralità. In Calabria è già successo, ai governanti di destra e di sinistra, ora si avvia su questa strada anche il governo Berlusconi con una manovra che, pur rinviando il piatto forte a chi verrà nella prossima legislatura, contiene alcuni elementi, ripetiamo, odiosi e impopolari che vanno a colpire sempre gli stessi ceti che pagano di più la crisi e soprattutto, come ci ricorda Veronesi, sono vessati in tanti modi diversi. Disagio? Rabbia? E perché non ribellione?

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