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Operazione dei carabinieri del Ros, questa mattina, denominata “Rilancio” che ha portato all’arresto di due persone. Diciassette invece le perquisizioni che hanno portato al sequestro preventivo di due attività commerciali per un valore di circa 2 milioni di euro. L’operazione ha consentito di scoprire una costola laziale del clan ‘ndranghetista degli «Alvaro», originario dei Comuni di Sinopoli e Cosoleto (Rc), dedito al reinvestimento e reimpiego dei capitali illeciti proprio attraverso l’acquisizione di attività commerciali nella capitale.
Nel corso delle indagini avviate nel 2007 – spiegano gli investigatori – è stato «documentato l’elevato livello di penetrazione raggiunto dalla cosca nel tessuto economico capitolino e ricostruita l’intera rete dei prestanome utilizzati per aggirare le possibili iniziative giudiziarie sul fronte patrimoniale».
I due arrestati, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, sono accusati di intestazione fittizia di beni con l’aggravante delle finalità mafiose (articolo 7 della legge 203/91), gli stessi reati contestati ai 17 indagati in stato di libertà oggetto delle perquisizioni. Nel corso dell’inchiesta era già stato eseguito un sequestro di beni per un valore di oltre 200 milioni di euro.
L’ordinanza di custodia cautelare in carcere riguarda Vincenzo Alvaro, figlio dell’83enne Nicola, detto «Beccauso», capocosca del «Locale» di Cosoleto, e Damiano Villari, soggetto definito dagli inquirenti «di elevato spessore delinquenziale» e in stretto raccordo con la cosca Alvaro, nonostante i suoi tentativi di celare tali rapporti. Ben 27 i prestanome utilizzati nel business. Due gli interventi già eseguiti due anni fa. Il 29 maggio 2009, con la cooperazione della polizia della Repubblica Ceca, venne eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere – emessa dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia – nei confronti di 12 indagati per associazione per delinquere finalizzata all’introduzione in Europa di ingenti quantitativi di merce contraffatta proveniente dal Vietnam: nella circostanza fu disposto un decreto di sequestro preventivo degli uffici della srl di import-export «MCS-Mediterranean Container Service Shipping», attiva nel porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria) ed utilizzata dal sodalizio per lo sdoganamento della merce contraffatta.
Il 22 luglio dello stesso anno, venne eseguito un decreto di sequestro anticipato di beni, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria nell’ambito di un «procedimento di prevenzione» riguardante Vincenzo Alvaro: furono sequestrati l’intero patrimonio immobiliare e le numerose attività commerciali riconducibili ad Alvaro, tra cui i famosi ristoranti «Cafè de Paris» e «Georgès», tuttora sotto sequestro e gestiti da un amministratore giudiziario, per un valore di circa 200 milioni di euro. Gli affari del clan non sono però cessati con il sequestro dell’estate 2009, «a conferma – sottolineano i carabinieri – della perdurante operatività della cosca sul fronte patrimoniale e della pericolosità sociale di Alvaro, che acquistava nuove attività commerciali intestandole a soggetti di comodo al fine di occultarne la reale titolarità e ‘oscurarè la sua presenza nella capitale». Si tratta, in particolare, dei due negozi – il bar «Il Naturista» in via Salaria 121 e il bar «Pedone» in via Ponzio Comino n. 74 – oggetto dell’odierno provvedimento di sequestro e del valore superiore ai due milioni di euro.

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