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di DOMENICO GATTUSO
Il porto di Gioia Tauro è una delle realtà più interessanti nel panorama del trasporto marittimo e della logistica mondiale, certamente la maggiore realtà produttiva della regione Calabria. Il porto è dotato di infrastrutture e impianti ragguardevoli. In termini di lunghezz banchine, profondità dei fondali, ampiezza di aree di stoccaggio, equipaggiamenti, Gioia Tauro è leader nel Mediterraneo. Ma il porto è anche un’incognita se si guarda alle prospettive future. A suscitare preoccupazione non è soltanto la crisi dei mercati, ma anche il ciclico allarme di crisi. Le ultime in ordine di tempo hanno riguardato un vuoto operativo di 30 ore lo scorso inverno e l’annuncio recente dell’abbandono dello scalo da parte di Maersk, primo operatore mondiale dello shipping containerizzato. Nel 2007 la Mct (Medcenter Container Terminal), principale terminalista del porto appartenente al Gruppo Contship, si proponeva di raggiungere un traffico di 6 milioni di TEUs entro il 2011. Nulla faceva pensare allora ai venti di crisi che sono invece sopraggiunti. Tra gli altri, il vento della crisi internazionale dei mercati finanziari del 2008. I traffici commerciali marittimi, dopo un trend di crescita decennale, hanno subito consistenti perdite nel corso del 2009, su scala mondiale. Tutti i porti, compresi quelli dell’Estremo Oriente, hanno sofferto riduzioni dei volumi di traffico. La crisi non ha risparmiato i porti italiani e neppure Gioia Tauro. Ma già nel 2010 si verificava una incoraggiante ripresa dei commerci e dei traffici container che faceva pensare all’uscita dal tunnel. In realtà un altro vento agitava da qualche tempo il porto di Gioia Tauro: il graduale disimpegno di Maersk a favore di porti del Nord Africa come Port Said e Tangeri, dettato da logiche di mercato e di competizione (si sa che il costo della manodopera nei porti nordafricani è assai più contenuto, che in tali porti non esiste controparte sindacale, e si sa che i padroni del vapore guardano ai profitti e non sono per loro natura inclini alla filantropia). Il vento avrebbe potuto trasformarsi in un tornado se non fosse subentrato l’apporto di Msc, secondo operatore mondiale del traffico container marittimo, facente capo all’armatore napoletano Aponte. Msc si era insediata a Gioia Tauro rispondendo ad una precisa richiesta dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi (fine 2007), ma nel corso del tempo ha cominciato a scalpitare denunciando inefficienze nella struttura produttiva locale. La denuncia veniva accompagnata da un’azione di serrata eclatante con il fermo delle navi per 30 ore l’inverno scorso. Nel contempo a gennaio di quest’anno Aponte dichiarava di poter raddoppiare i traffici su Gioia Tauro portandoli da 2 a 4 Milioni di TEUs. E invece, ad aprile, ha generato un nuovo forte vento sul porto e sulla Calabria segnalando che anche la Msc stava valutando l’opportunità di spostare parte dell’attività di transhipment nello scalo egiziano di Port Said. E’ evidente che le logiche d’impresa, sullo scacchiere mondiale, non sono facili da seguire, ma è pur vero che in Italia da tempo pare si sia rinunciato a comprenderle ed agire per salvaguardare il ruolo della nazione e del suo sistema portuale. La competizione internazionale nel mercato dello shipping si gioca anche sul sostegno fattivo delle Regioni e dei Governi ai propri porti e alle relative reti di servizio intermodali. In anni recenti, tuttavia, a scala nazionale gli investimenti e il sostegno alla portualità sono risultati stagnanti e l’attenzione su Gioia Tauro è scemata. Preoccupa in particolare la “solitudine” del porto di Gioia Tauro rispetto alle politiche delle lobbies economiche e politiche nazionali. Allarmante è addirittura l’azione politico-finanziaria che punta a rafforzare alcuni grandi porti del Nord Italia (Genova e Trieste in particolare): uomini di governo, Ferrovie dello Stato con l’ “imprenditore” Moretti, grandi banche come Unicredit, sembrano voler seguire la strategia del presidente di Assoporti Nerli, che vede nella crisi del transhipment un motivo in più per rafforzare il sostegno ai porti storici, considerati veri motori di sviluppo dell’economia nazionale. Con Matteoli che apparentemente sonnecchia. Basta andare a vedere l’entità e la direzione degli investimenti nel settore portuale dell’ultimo anno. O scoprire dai giornali che Maersk investe su Savona, ironicamente un altro porto “nordafricano”. Occorrerebbe una vigorosa reazione delle istituzioni del Mezzogiorno e della Calabria in particolare che, purtroppo, non si vede. Sono sorprendenti la stasi dei vertici di governo regionale, l’assenza di una unità forte che si occupi di Gioia Tauro (non esiste neppure un assessorato ai trasporti e logistica), la modestia nell’azione della dirigenza dell’Autorità portuale e dell’Asi, la riluttanza delle forze politiche e sindacali. Sebbene risulti difficile prevedere le dinamiche di evoluzione futura dei mercati, il Porto dovrebbe guardare avanti con azioni di rilancio immediate e con l’attuazione dei progetti già previsti in sede di pianificazione: sono preventivati importanti interventi di potenziamento e corrispondenti significativi investimenti e sarebbe follia rinunciare oggi alle opportunità offerte in primo luogo da Pon e Por. Più tempo passa più diventa difficile poter realizzare gli interventi e si rischia di bruciare ingenti risorse comunitarie: questa volta non è prevista la possibilità di accantonamento e il 2014 è dietro l’angolo. L’iter di approvazione del Piano regolatore portuale dev’essere concluso (è da oltre un anno che il documento giace in alcuni cassetti romani) e si deve passare rapidamente alla realizzazione delle opere: ampliamento dell’ambito portuale, riassetto più funzionale delle destinazioni d’uso associate alle aree, ampliamento delle banchine, allargamento del canale portuale, allungamento significativo delle banchine alti fondali, maggiore apertura del varco di accesso al porto al fine di agevolare le manovre delle più grandi porta-container, riassetto delle aree destinate a funzioni terminalistiche con uno spazio congruo per l’interporto, potenziamento delle funzioni traghetto con nuovi accosti dedicati, potenziamento delle reti stradali e ferroviarie sia in termini di infrastrutture sia in termini di organizzazione funzionale, realizzazione del secondo canale, attivazione di misure e tecnologie in campo energetico per servire le navi in sosta da terra e contenere i consumi e le emissioni inquinanti. Occorre fare quello che da 15 anni aspettano vanamente tanti operatori di settore: attivare l’intermodalità mare-ferrovia e far decollare il trasporto ferroviario. Il porto è collegato in modo efficiente e regolare con oltre 50 porti del Mediterraneo, ma non è ancora allacciato in modo serio all’Europa. Eppure diversi studi evidenziano una potenzialità notevole del trasporto ferroviario di container fra Gioia Tauro e il Centro-Nord Europa, attraverso il drenaggio di quote di traffico dai porti del Nord Europa, con conseguenze positive anche per il sistema degli interporti nazionali. Occorre procedere decisamente all’attivazione dell’interporto e all’incentivazione dell’imprenditoria nel retroporto, ma anche prevedere forme innovative di intervento finalizzate a potenziare il ruolo di nodo portuale e logistico di Gioia Tauro. Questo significa superare le logiche di alcuni potentati che frenano la domanda di raccordo veloce alle reti, in particolare snellire le procedure e i tempi delle operazioni doganali; agevolare e incentivare le azioni degli operatori multimodali e della logistica che di recente si vanno manifestando (ad oggi essi sono fortemente penalizzati attraverso vessazioni di diversa natura). Occorre puntare su investimenti mirati che coinvolgano su patti chiari e vincolanti gli operatori/armatori in modo da creare condizioni di stabilità e sviluppo sul medio-lungo periodo. Ma per tutte queste finalità, ed in particolare per quest’ultima, si pone un problema di governance di alto profilo, in grado di assicurare un rapporto equilibrato nella dialettica politico-economica nazionale ed internazionale, una capacità di interlocuzione di spessore con i grandi operatori del trasporto e del commercio internazionale. Bisognerebbe superare una prassi che vede privilegiare nomine dirigenziali localistiche e clientelari, puntando su staff competenti e di caratura internazionale, bisognerebbe ricondurre la frammentazione delle competenze ad una cabina di regia unica, un’authority “autorevole” e con poteri reali, bisognerebbe fare assumere al porto una valenza di porto-paese, capace di affermare il ruolo di super-hub portuale nel Mediterraneo, nella convinzione che lo sviluppo del porto calabrese possa riflettersi su tutta la portualità e quindi sull’intero sistema economico nazionale. Ma vi sono anche altre leve d’intervento, che potranno essere attivate solo con una seria presa di posizione da parte delle Regioni del Mezzogiorno. Si tratta di una sfida che richiede coraggio, ma che può avere una notevole rilevanza, per: a) una nuova politica di governo sui porti; in particolare coordinamento istituzionale, finalizzato ad una regia unica sulla portualità italiana, scevra da decisionismo locale, mirata al riordino della normativa portuale, con norme specifiche per il transhipment, alla riduzione del numero delle Autorità Portuali e alla previsione di una loro maggiore autonomia (ad esempio possibilità di adattare le tasse di ancoraggio delle navi alle situazioni di mercato); b) una nuova strategia di governo sulle ferrovie (riordino della normativa cargo, potenziamento nodo intermodale ferroviario di Gioia Tauro, incentivi al trasporto su ferro ed eliminazione alterazioni di mercato in atto); c) nuove direttive Ue (correzione distorsioni mercato e superamento di leggi vecchie e disomogenee), nuova attenzione al Mediterraneo (Area Libero Scambio) e ai rapporti di partenariato Sud-Nord; d) iniziative di grande rilievo sullo scenario internazionale (politica di marketing nel Mediterraneo e nel mondo); e) valorizzazione del rapporto università-porto, attraverso iniziative volte a rafforzare le sinergie e il sostegno all’innovazione degli operatori del commercio, della logistica, dell’industria. Questa volta Gioia Tauro rischia grosso. Ma in realtà a perdere sarà l’intera comunità calabrese, bruciando il futuro delle nuove generazioni, e a nulla varrà distribuire le responsabilità politiche. E’ il momento allora di tirar fuori tutte le energie possibili e affrontare la battaglia in modo intelligente, cercando l’unità delle forze sociali ed economiche, attivando rapporti di alto profilo fra i presidenti delle Regioni di tutto il Mezzogiorno per una vertenza unitaria, giocando la partita all’attacco.
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