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di GIANFRANCO LABROSCIANO*
A ben considerare lo spot pubblicitario sui Bronzi di Riace credo si possa parlare di fenomeno della comunicazione perché tende, fenomenicamente, a uscire dall’ambito pubblicitario e a investire, con una spregiudicatezza e una libertà narrativa che segnano una svolta nell’obsoleto sistema comunicativo dell’arte, la cultura del territorio che rappresentano. Perché di questo si tratta, altro che di ignoranza. L’animazione di cui trattasi pone la Calabria all’avanguardia perché sottolinea il carattere di una ricerca che, lungi dal sotterrarla, esalta l’archeologia ponendola come scienza del futuro in una direttrice spazio-temporale che recupera i simboli di un passato millenario e li proietta in avanti, con i linguaggi dell’avvenire. La realtà virtuale è uno di questi linguaggi, ossia una forma categoriale del sapere capace di aprire varchi su territori inesplorati nei quali dobbiamo immetterci correndo, perché con essa il futuro è già iniziato e lo abbiamo davanti. Ecco cosa guardiamo osservando l’animazione in parola, il futuro. Un futuro travolgente che abbatte gli ostacoli, recupera le resistenze, scardina i sistemi dello sguardo, della politica e dell’erotismo, i logorati antropologismi di maniera e introduce il diverso, la radicale novità, l’alternativa tagliente ma necessaria che si produce anche come strappo, scandalo e ferita, oltraggio all’opinio communis e rottura di schemi precostituiti. Ma non è questo l’arte? Non è forse il progressivo slittamento delle Spirito del Tempo, in ogni tempo ,verso la sua rovina, verso la sua catastrofe e, in definitiva, verso la sua morte e il suo ricominciamento? Di questo si tratta. Di una Calabria che mostra, attraverso i simboli dell’Arte – il più efficace strumento a disposizione dei popoli per manifestare i suoi trionfi ma anche le sue cadute, le sue vittorie ma anche le sue sconfitte – che si offrono in visione scandalosa, se si vuole, oltraggiosa, se si vuole, ma certamente provocatoria, la sua forza e il suo carattere, la sua volontà di spezzare i vincoli con i passato, di procedere in avanti e di guardare liberamente verso il futuro a cominciare dalal comunicazione dell’arte, o dall’arte della comunicazione. E’ vero, l’animazione dei Bronzi evidenzia un certo dato surrealista tendente alla deformazione e al grottesco. Ma questo non mi pare negativo, come sostenuto da taluni. A parte il fatto che sono ormai anni luce che l’arte ha cessato di rappresentare la mera bellezza a beneficio del concetto come evocazione di altri e più estesi orizzonti mentali, c’è da dire che il Surrealismo non ebbe lo scopo di produrre arte o non arte, ma di proporre un’altra visione della vita, e non si trattò di una tendenza artistica, ma di un complesso movimento rivoluzionario inteso a cambiare i rapporto dell’individuo con se stesso e con gli altri. Il Surraalismo non mirava alla bellezza convulsa, ossia alla bellezza classica e stucchevole che uccide la verità, ma al sublime inteso come forma artistica capace di produrre emozioni non tanto attraverso l’equilibrio e l’armonia, ma mediante generatori di emozione estetica dissonanti, iperbolici e irrazionali, in grado di sfuggire all’orrore e alla mediocrità con i mezzi della poesia e dell’ironia affidata alla fenomenologia dei gesti. Pertanto, la nudità delle figure e il geometrismo delle linee e delle forme, nell’animazione in parola, sono stilemi utilizzati per introdurre uno spazio percettivo alternativo e un tempo diverso da quello convenzionale. Spazio e tempo che valgono a configurare la Calabria in un territorio più esteso di quello semplicemente italiano, per esempio il Mediterraneo, e in un tempo più dilatato di quello presente, il futuro. Questo lavoro, allora, è un’opera simbolo di una generazione nuova che merita rispetto e tutela perché introduce un concetto di spazio della comunicazione che è sfondo di un’azione che vuole essere protagonista. Un’azione in cui l’atto del vedere si distingue da quello del guardare, e questo si differenzia dall’atto del raccontare, in cui viene demolito e denigrato, sia pure in maniera dissacrante, o ironica, il sistema di montaggio e di attribuzione degli sguardi, troppo evidentemente superato.
*critico d’arte
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