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POTENZA – Fratelli di latte. Bruno aveva già vent’anni quando è nato Donatino a qualche giorno di distanza dal più piccolo dei suoi fratelli. La mamma non ne aveva tanto e per questo lo portava a casa dei Cassotta, che abitavano lì vicino, dalle parti del Castello, dove la signora generosa lo stringeva.
Trent’anni dopo Bruno è per terra. Chiede: «Dona’, perchè mi stai facendo questo?». È ferito al pube, sta piangendo e cerca di scappare. Donatino alza la sinistra, prende la mira e svuota il caricatore. L’ultimo è il colpo di grazia: si conficca nello spazio tra il naso e il labbro superiore.
Donatino è Donato Prota, l’assassino. Bruno Cassotta (in foto) l’ultimo a morire nella faida che da vent’anni insanguina le strade del Vulture Melfese. Questa è la ricostruzione degli investigatori della Direzione distrettuale antimafia.
Con l’accusa di omicidio aggravato, detenzione e porto d’armi clandestino, ieri mattina Donato Prota è finito in manette nel carcere di Melfi. Lunedì verrà interrogato dal gip che ne ha disposto l’arresto. L’esecuzione della misura cautelare è stata resa nota dal procuratore capo di Potenza, Giovanni Colangelo che ha convocato una conferenza stampa con il capo della squadra mobile di Potenza, Barbara Strappato, e il comandante del reparto operativo dei carabinieri Antonio Milone. Colangelo ha tenuto a evidenziare il frutto del lavoro congiunto di polizia e carabinieri. Questa volta il riscontro decisivo ai primi accertamenti svolti dal nucleo operativo radiomobile di Melfi, è arrivato dai specialisti del Ris di Roma, gli stessi che negli scorsi mesi si sono adoperati sui reperti del caso Claps.
A gennaio, grazie ai risultati dell’esame sulla presenza di tracce di polvere da sparo sui tamponi effettuati il giorno dopo il delitto sugli abiti e la mano sinistra di Donato Prota, è arrivata la proverbiale quadratura del cerchio. Sulla mano, la giacca e i pantaloni sarebbero state individuate tracce consistenti che vanno ricondotte all’esplosione di colpi di arma da fuoco nelle ore immediatamente precedenti.
Quanto all’alibi di Prota gli investigatori hanno raccolto la testimonianza di un cittadino che smentisce il suo racconto sulla sera del 2 ottobre del 2008.
Stando alla versione di D’Amato, Prota avrebbe teso un tranello a Bruno Cassotta, per propiziare il suo passaggio dal clan di “quelli del castello” ai rivali del vecchio gruppo “Di Muro-Delli Gatti”. Non sarebbe stato solo, ma gli accertamenti sul suo complice e i mandanti sono ancora in corso. La ricompensa? 1.500 euro.

Leo Amato

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