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di GIORGIO CASTELLA*
Era il 1° Maggio 1984 quando moriva a Grosseto nella casa del figlio Oliverio lo scrittore Fortunato Seminara. Con i suoi romanzi fece conoscere al mondo il villaggio sperduto di Maropati, suo paese natio e le condizioni di vita della “massa di proletari che non possiedono niente fuorché la propria forza da vendere a giornata”. Nel volume “L’altro Pianeta” pubblicato nel 1967- Pellegrini Editore, lo scrittore nel capitolo “La Vera realtà” scriveva: “..noi calabresi ci lamentiamo con ragione della durezza della nostra vita e sappiamo indicare i mali, gravi e vari, di cui soffriamo, sappiamo anche lamentarci bene con arte; ma credo sarebbe utile anche indagare l’origine invece di cavarcela spesso con un’accusa vaga ai governi e allo Stato che ci trascurano. La grande proprietà feudale è rimasta immobile, ha dominato col suo peso inerte le vicende economiche anziché essere domina. Chi avesse percorso in autunno le nostre vallate rigate dai corsi di torrenti e di fiumi e le pianure ondulate, dove una volta si coltivavano fagioli e granturco tra magri filari di gelsi, avrebbe osservato con estatica meraviglia gli aranceti carichi di frutti, distese verdi, simili a grandi arazzi, costellati d’oro. E’ quanto costituisce la ricchezza di queste contrade, l’unica ricchezza, insieme con gli uliveti, di grandi e piccoli proprietari, fonte di guadagno e di vita, per numerose popolazioni rurali, dove non c’è traccia d’industria e le altre minute attività sono complementari, o sussidiarie della agricoltura, di cui seguono la sorte. Rifate ora, alla soglia della primavera, i medesimi itinerari e vedrete quell’oro che iggemmava le chiome degli alberi sparso a terra sbiadito e marcito tra l’erba; vedrete deserti i campi che dovrebbero risonare di voci e di canti, deserte le strade che dovrebbero percorsi da autocarri cariche di ceste piene di arance, diretti alle vicine stazioni ferroviarie. Il silenzio copre ogni casa. E allora viene da domandarsi a che serve produrre tanta ricchezza, se non ne possono giovare coloro che la producono, né coloro ai quali essa è destinata; se deve finire in marciume per terra. Non serve neppure a concimare il terreno, perché pare che le arance marcite contengano degli elementi nocivi alle piante. Avvicinate proprietari e lavoratori giornalieri, udirete le stesse recriminazioni, gli stessi lamenti ora accorati, ora violenti, prorompenti dalla delusione, dal bisogno pungolante, dalla paura delle scadenze debitorie e fiscali. La collera a volte si traduce in amaro sarcasmo: «Non vogliono arance quest’anno: hanno i denti allegati». Si scrivono proteste, si fanno convegni, si votano ordini del giorno per chiedere lo sgravio delle imposte ed altri provvedimenti; qualche parlamentare, pressato dai suoi lettori, presenta un’interrogazione alla Camera; ma tutto rimane al punto di prima. I soliti commercianti non si fanno vivi, i mediatori girano oziosi per le piazze dei paesi e interrogati, si stringono nelle spalle; gli agrumeti continuano a subire la violenza del maltempo ed ad alleggerirsi del loro peso. Ciò che prodotto con impiego di capitali, consumo di forza umana ed è destinato alla alimentazione, finisce in disfacimento ad imbrattare il terreno”. Sono trascorsi 44 anni da questa analisi dello scrittore che è ancora di estrema attualità. La rivolta di Rosarno aveva messo a nudo la crisi dell’agricoltura, e in modo particolare il comparto agrumicolo dell’intera Piana. Il prezzo delle arance di soli 7 centesimi si rileva insufficiente per effettuare la raccolta costringendo così i produttori a lasciare marcire il frutto a terra . Una decisione sofferta, ma indispensabile. A pagare il prezzo più alto sono stati i piccoli produttori agricoli. Molti di essi per realizzare il sogno di possedere un pezzo di terra erano emigrati in Svizzera e in Germania. Avendo la passione per la terra, effettuavano i lavori di campagna con cura facendo la potatura, la concimazione, l’irrigazione e trattamenti antiparassitari. Tutto ciò rendeva l’agrumeto rigoglioso; durante la primavera i fiori di zagara profumavano tutto il terreno, mentre l’inverno con le piante cariche di arance dava la sensazione di trovarsi in un campo dorato. Avere un agrumeto, dava la sensazione di sentirsi ricco costituendo benessere per la propria famiglia e per i lavoratori mettendo in moto l’economia . Per effettuare i lavori di campagna lavoravano molti braccianti e nel periodo della raccolta non essendo sufficienti i lavoratori della Piana, venivano assunti gli extracomunitari . Oggi i piccoli agricoltori, si sentono poveri anche perché per effettuare i lavori avevano investito molti capitali senza cavare nulla. A un anno della rivolta, le molte promesse formulate per il rilancio del settore agrumicolo sono state disattese sia dal Governo nazionale che dalla Regione Calabria. Il prezzo degli agrumi rimane invariato a 7 centesimi al chilo e il frutto continua a marcire a terra creando un clima di preoccupazione nei produttori . La crisi colpisce anche i lavoratori provocando una disoccupazione dilagante. Il Primo maggio festa del lavoro, nel rendere omaggio allo scrittore Fortunato Seminara a ventisette anni dalla sua scomparsa c’è la necessità di una riflessione critica sul mutamento della società, che giorno dopo giorno rischia di smarrire i valori dell’unità e dell’etica del dovere. Leggendo i suoi romanzi si scopre la grandezza culturale e morale delle sue opere che contribuiscono ad affrontare la vita in una fase di grande smarrimento, riappropriandosi dei valori della civiltà contadina così cara allo scrittore di Maropati.
*dirigente Cgil

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