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di ROBERTO LOSSO
Il 1° Maggio del 2011 sarà ricordato per la beatificazione di Karol Wojtyla più che per la ricorrenza della Festa del Lavoro. Questa sovrapposizione di valori religiosi e passioni civili, però, non ha creato incomprensioni. Forse perché l’evento di Piazza San Pietro si preannuncia anch’esso come una gioiosa testimonianza di popolo. A Roma, secondo la polizia, sarà presente quasi un milione di pellegrini. Non potevano non esserci. Già durante i funerali, infatti, una moltitudine d’uomini e donne d’ogni Nazione e d’ogni età lo voleva “Santo subito”. Era, quella loro invocazione, un grido d’amore che diventava preghiera nella commozione del momento. Lo amavano per quello che rappresentava. Un Papa venuto da un paese lontano. Forse inatteso, perché rompeva una tradizione millenaria. Certamente sensibile alle grandi questioni dell’uomo, delle sue libertà individuali e collettive, dei suoi bisogni spirituali e materiali, della sua fragilità alle soglie del terzo millennio. Se n’è fatto carico, attraversando, insieme con lui, il divenire della storia: dalla caduta del muro di Berlino alla condanna del consumismo, dalla modernizzazione della curia alla difesa di dogma scomodi, dall’affermazione dei diritti degli ultimi alla centralità dei giovani. Anche negli anni più complicati del suo lungo magistero, la voce di Giovanni Paolo II è stata intransigente nel chiedere pace, giustizia e solidarietà per tutti e per ciascuno. Pertanto, nel tempo, è diventata patrimonio dell’umanità la certezza che sia stato tra i grandi protagonisti della “nuova frontiera” che ha evitato alle ultime generazioni d’essere testimoni e vittime di una terza guerra mondiale. Forse per questo radicato convincimento, nel 2003, un po’ tutti, cattolici e non, davamo per scontato che gli sarebbe stato assegnato il Nobel per la pace. Non fu così. A Stoccolma, infatti, decisero diversamente. Furono momenti di sincero smarrimento. Quei sentimenti di comprensibile delusione, però, nulla toglievano ai meriti di Shirin Ebadi, la donna-coraggio che n’era stata insignita per le sue lotte in favore dei diritti civili. Lo precisò fin da subito Joaquín Navarro-Valls, portavoce della sala stampa vaticana. La questione si poneva semplicemente perché, nell’immaginario collettivo, Papa Vojtyla, ormai vecchio e sofferente, s’identificava con l’idea stessa della pace e della speranza. Quindi, sembrava particolarmente appropriato che il premio gli fosse riconosciuto in occasione del venticinquesimo anniversario del suo Pontificato. Anche per la Calabria il 1° Maggio di Carol Wojtyla rappresenterà un valore aggiunto nella cultura della Festa del Lavoro. Quando venne nella nostra regione, nell’ottobre del 1984, infatti, colmò un vuoto che durava da oltre quattro secoli. L’ultimo pontefice a visitarla era stato Alessandro III. Ovunque, mostrò di essere a suo agio. Spesso mise da parte i discorsi ufficiali. Fu così alla Certosa di Serra San Bruno, a Cosenza, a Reggio Calabria. Particolarmente commosso apparve, comunque, il suo abbraccio con la folla che lo accolse sul lungomare di Paola. Leggendo alcuni cartelli, disse: “Fin dal mio arrivo in Calabria sono stato colpito dal vostro lamento che chiede soltanto un bene: il lavoro”. La sera, al Santuario, mise in crisi la sicurezza e i cerimonieri. Si affacciò e benedì i fedeli che lo invocavano, dicendo loro: “Il Papa è con voi”. Quindi, dialogò con loro, soffermandosi a lungo sulla modernità del messaggio spirituale di Frate Francesco. Confessò, anzi, di essergli devoto fin da bambino. Sembrava presagisse l’insolubilità del legame che avrebbero condiviso: morire nello stesso giorno (2 aprile) ed essere beatificati entrambi il 1° Maggio. Coincidenze o profezie? Non importa. Nell’uno o nell’altro caso, è bello lo stesso.
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