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SALERNO – L’unico a mostrarsi impassibile è stato il medico legale, Francesco Introna, uno che ne ha viste tante. Gli altri sono usciti sconvolti. L’avvocato Marinelli si è dovuto sedere per farsi forza.
A metà della relazione della professoressa Cattaneo un praticante alle prime armi è scappato in bagno per mettere la testa sotto l’acqua. È rimasto così per qualche minuto. Poi è rientrato con il volto che grondava.
Tutt’attorno all’aula B del Palazzo di giustizia di Salerno montagne di faldoni intestati ai più efferati criminali che la storia recente ricordi. Omicidi, faide di camorra e orrori. Una galleria. E lì dentro le immagini del corpo mutilato di Elisa. Le mani separate dal resto e spedite nei laboratori del “Labonaf”, il laboratorio di antropologia forense dell’Università statale di Milano.
Cristina Cattaneo sa bene cosa fare con dei reperti in condizioni estreme. Il nome se l’è fatto grazie anche al lavoro sulla strage di Linate, 118 morti quasi tutti carbonizzati, nel 2001. Poi le “bestie di satana”, tre anni dopo, e quei corpi sotterrati nei boschi sulle rive del Ticino. Ha preso le mani «mummificate» di Elisa. Il termine non rende perchè sarebbe meglio dire «disidratate». Le ha immerse con tutta le delicatezza possibile in una bacinella di acqua tiepida, distillata. Poi le ha estratte per cercare lacerazioni. Ha trovato tre punti aperti di fuoriuscita: due sulla destra e uno sulla sinistra. I primi sono risultati compatibili con i tagli di una lama che Elisa ha cercato di allontanare da sè, della stessa lunghezza di quella che ha colpito tredici volte al torace, al collo, alla schiena. Una forbice, o un coltellino. Introna ha insistito per una lama con un’impugnatura ergonomica, perchè è difficile impugnare una forbice e imprimere la forza necessaria a spaccare una costola di netto. Ma è probabile che l’assassino avesse entrambi gli strumenti, perchè le ciocche di capelli, quelle può averle recise in quel modo solo una forbice con le lame opposte. Con un coltello la sezione sarebbe stata imprecisa, invece è perfetta, e si è conservata perchè lo strumento dev’essere stato intriso di qualche sostanza. Non si è riusciti a stabilire se fosse sangue, ma quei capelli sono rimasti fermi per tutto questo tempo, quasi diciassette anni.
Poi si è passato ai segni sul resto del corpo. L’avvocato della famiglia Claps, Giuliana Scarpetta, ha chiesto al consulente una ricostruzione della dinamica dell’aggressione. Non è stata una domanda ridondante. Il punto è stabilire che il Dna di Restivo trovato sulla maglia di Elisa all’altezza della scapola sinistra sia finito lì durante la colluttazione. L’omicida afferra la ragazza da dietro con la sinistra. Se la stringe sul fianco e con la destra colpisce fendendo l’aria verso di sè. Elisa si difende: con la destra cerca di respingere la lama, e con la sinistra di liberarsi dalla presa. Qualche ora dopo Restivo si farà medicare una piccola ferita tra il pollice e l’indice della mano sinistra. Racconterà di essersela fatta cadendo nel cantiere delle scale mobili, ma la fantasia – purtroppo non ci sono elementi scientifici di sostegno su quest’aspetto – suggerisce che la ragazza le abbia potuto infilare un’unghia a fondo nella carne. Poi si è piegata, e il suo assassino – su questo i due periti sono d’accordo – ha continuato a infierire. Sono stati i colpi più violenti. Dall’alto verso il basso.
Alla fine Filomena Iemma, madre incontenibile di Elisa, ha trovato le energie anche per andare a ringraziare la professoressa. Le ha parlato e ha dato un bacio sia a lei che a Giorgio Portera, veterano dei Ris di Parma, che fa il ricercatore alla Statale di Milano nel Dipartimento di biologia e genetica (https://www.biologiaforense.it).
Portera è stato il primo a parlare ieri mattina. Ha illustrato i risultati dell’esame dattiloscopico su una ventina di reperti prelevati dal sottotetto della Trinità. Ha spiegato di aver trovato delle impronte anche sulle tegole che nascondevano il corpo di Elisa. Troppo piccole per essere utilizzate, ma abbastanza per parlare di occultamento di cadavere, un uomo che in piena coscienza le avrebbe prese e poggiate come sono state ritrovate per nascondere la ragazza. Quando è successo non è stato in grado di dirlo, nè la scienza in questi casi riesce a dare spiegazioni precise. Ma è chiaro che qualcuno si è messo all’opera sulla scena del delitto, e quand’anche fosse stato l’assassino così facendo si è mostrato lucido e capace di intendere e volere.
Leo Amato
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