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di FRANCO CRISPINI
E’ anche un altro dei sintomi che si offrono alla semiotica politica: per capire questo Paese che inconsapevolmente subisce tanti danni, e che sembra passarvi sopra con sorprendente leggerezza, bisogna oramai provarsi a raccogliere e leggere non uno solo dei tanti segnali, a volte equivoci, che giungono dalla diffusa acquiescenza o indifferenza della gente come anche dalla entusiastica adesione a tutto quello che le viene fatto credere. Ogni giorno vediamo e sentiamo sulle reti televisive, quasi tutte per la verità poco inclini a dare notizie non addomesticate, immagini, messaggi, incontri, raduni, con soggetti giubilanti e plaudenti, e diventa facile per il telespettatore medio formarsi la convinzione che il premier, il suo personale partito, il suo governo (perché è da qui che si orchestrano e mettono in scena grandi eventi comunicativi) suscitano forti entusiasmi in tutto un popolo pronto a difendere i valori e gli ideali politici che incarnano. In realtà, il dubbio che potrebbe aversi è duplice: se quello che si vede rispecchia un sentimento realmente presente in un grandissimo numero di cittadini; se è spontanea la spinta che porta gruppi di persone a fare propri i messaggi di un Capo, le parole d’ordine che questi ripete. Che lettura dare prima di tutto della risonanza che trovano le insistenti e variabili versioni che il Cavaliere dà delle sue gesta, e poi delle specifiche argomentazioni cui ricorre e del coro che tutto intorno ne amplifica le martellanti auto giustificazioni? Quella che è in questione è principalmente una condizione del nostro Paese che è tale da portare a decifrazioni bivalenti delle reazioni che si hanno verso uno spettacolo che ha aspetti anche tragicomici. E’ possibile che si è verificato un oscuramento del senso comune cui sfuggono persino le conseguenze di costumi e comportamenti che risultano socialmente ed eticamente erosivi delle ragioni della convivenza civile? Il Cavaliere è una presenza dominante sugli schermi televisivi: il suo viso sorridente o truce, le sue allocuzioni che hanno un bersaglio fisso, la giustizia, i magistrati, la sinistra, i comunisti, le sue battute e barzellette allusive e volgari, cercano un pubblico che deve continuamente metabolizzare l’idea di un capo sereno, sicuro, che nessuno riesce a togliere di mezzo. Come sembra da una asticella immobile dei sondaggi, la metabolizzazione riesce, una grande parte del Paese assorbe quel che il Cavaliere gli fa pensare. Fuori dai sondaggi che servono a misurare (e la cosa non è certo di poco conto) un virtuale consenso elettorale, rimane comunque il problema se veramente è assente dagli stati di animo della gente ogni bisogno di sottrarsi agli incantesimi ed alle magie che emanano dagli eventi liturgici cui Berlusconi sa dare vita, oppure se riportarsi a un livello ragionevole di valutazione di quanto fa e dice il Cavaliere è pure esso una esigenza compresente nell’animo stesso della gente. Appare impossibile che non sia dato di potere intravedere uno spiraglio di distacco indispettito di fronte a quanto sta avvenendo, dalle risse parlamentari che scaturiscono tutte dalla volontà di cercare coperture legislative al Sovrano ,al grande caos sul problema degli immigrati e sulla crisi libica, con una evidente responsabilità governativa, allo spettacolo di Lampedusa dove il premiere vende salvezza e acquista casa, che non si possa cogliere cioè un segno di insopportabilità da parte del tanto osannato popolo verso una situazione disastrosa, al punto da non risparmiare applausi ed osanna all’artefice di tutto. Quello che viene comunicato ripetutamente è che Berlusconi ha una ricetta per tutto e che toglierlo di mezzo come si vorrebbe fare per via giudiziaria, non essendocene nessuna altra, vorrebbe dire solamente sottrarre al Paese il suo benefattore e salvatore: accreditando questa immagine si è creato l’idolo al quale l’attaccamento è un atto devozionale. Quel che quindi si legge al fondo di tante manifestazioni protettive delle azioni del Leader è una ostilità verso chiunque e qualsivoglia cosa attentino alla esistenza del soggetto del culto, senza alcuna macchia. Si prenda la protesta organizzata (fomentata o altro?) presso il Palazzo di giustizia a Milano mentre si celebrava uno dei processi a Berlusconi (è probabile che per tutti gli altri che seguiranno sarà la stessa cosa), una manifestazione con una massiccia presenza femminile (è da notare che in tante altre occasioni di dibattiti o altro, sono donne con ruoli politici ad intervenire), alzava invocazioni e grida di amore per l’idolo infangato dalla giustizia dei magistrati: si dirà che in questo caso non vi era niente di spontaneo e che la passionaria che guidava la piccola folla era solo una indemoniata (così lo stesso Berlusconi ha definito la Santanchè), ma è anche vero che quello atteggiamento è dimostrativo di un aspetto che si vuole fare assumere alla politica cioè una sua “sacertà” che deve portare la gente a partecipare intensamente, a fare scudo a un soggetto santificato. Per fortuna, Berlusconi solo limitatamente è riuscito a fare interiorizzare questa auto santificazione della propria persona per cui c’è ancora qualche possibilità di avere segnali di un rapporto non guastato, non alterato, che la gente riuscirà ad avere con tutto quello (la politica, il governo) che è determinante per la vita associata.
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