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La vicenda del ‘Piano Casa’ di Matera, così intensamente voluto dal Sindaco
Adduce anche al prezzo di una ennesima lacerazione della sua maggioranza,
merita qualche ulteriore considerazione. In primis dimostra l’ormai
completo sganciamento dell’azione amministrativa da una visione generale, da
una cultura predefinita, da indirizzi predeterminati. Una incapacità di incarnare un amministrare con riferimenti generali netti che, come in questo
caso, è l’essere di centro sinistra. Nella fattispecie, ricordiamolo, il
cosiddetto ‘Piano Casa’ è un provvedimento del governo Berlusconi, perfettamente in linea con quella devastante (sotto)cultura che vede come fumo negli occhi il rispetto delle regole, fortemente avversato dalle opposizioni.
Dal PD all’IdV, e sino alle sinistre estreme, si parlò di “totale deregulation edilizia”, prefigurando un “assalto” al paesaggio e al territorio. Ci fu chi, come ‘Legambiente’, richiamò il film ‘Mani sulla città’ di Francesco Rosi ricordando che “in barba a qualsiasi norma, piano o regolamento edilizio, negli anni ’60 in Italia, speculatori senza scrupoli hanno potuto ampliare, demolire, ricostruire edifici brutti e insicuri”.
E allora, ha torto l’elettore di centro sinistra a chiedersi: come può il proprio Sindaco e la propria maggioranza assumere in modo così appassionato, al punto di rischiare di schiantarsi, una tale scellerata scelta di un governo avverso? Come può esserci ‘di sinistra’ (scusate la bestemmia) nel fare propria la filosofia di cementificazione del territorio (urbano ed extraurbano) in deroga agli strumenti urbanistici e in base a scelte operate da privati, da imprese che hanno come scopo, giustamente, solo il proprio profitto?
Nulla, tant’è che la delibera è stata votata coerentemente dal PdL a marchiare ulteriormente la primogenitura di questa nuova e massiccia cementificazione della città. Tutta acqua al mulino dei refrain: “sono tutti uguali”, “chiunque vada è la stessa cosa”. In verità da questa amministrazione ci si attendeva che svolgesse un compito diverso. Quello di sterzare decisamente rispetto al passato. Rispetto a quello scempio urbano che ha reso Matera una città in tante parti davvero brutta, con quartieri dormitorio invivibili, pseudo ‘centri direzionali’ e zone residenziali che franano. Perché, allora, tutta questa fretta ad adottare la creatura berlusconiana? Perché non si è scelto di lasciar scadere nel vuoto, al 24° imminente mese di validità, la legge che sotto diktat la Regione (a pena commissariamento) ha dovuto all’epoca forzatamente adottare? Perché non ci si è scelta la via degli strumenti ordinari (che per altro apprendiamo sono già in dirittura di arrivo) per dare risposte alle esigenze abitative addotte, ma soprattutto per mettere mano alla riqualificazione del
patrimonio esistente che è la vera emergenza della Città? Davvero è la crisi
e la fame di case per la povera gente, come si è detto, a spingere verso
questa deriva della condivisione della filosofia berlusconiana del governare
in deroga? Giustificazioni risibili e non congrue al contesto. Davvero difficile, invece, non alimentare il sospetto che ad indurre in tentazione
vi sia la solita e potente lobby trasversale del mattone che non poteva
certo farsi scappare una così ghiotta occasione. E sì perché in quella interminabile seduta consiliare in cui sembrava si consumasse una tragicommedia (perché se è vero come e vero che tutti coloro che hanno manifestato dubbi e titubanze sul provvedimento fossero stati coerenti nel voto esso non sarebbe passato), pareva aleggiasse un impalpabile presenza che spingeva tanti a sostenere l’insostenibile. Vedi la pattuglia che non ha avuto il coraggio di approvarlo, ma nemmeno quello di votare contro e che ha scelto la via della fuga. Vedi i contorsionismi di chi lo ha votato ma che, quasi a scusarsene, preannuncia un supplemento di esame quando in aula arriveranno i singoli progetti (della serie prima si fanno scappare i buoi e poi si pretende di chiudere la stalla). La drammatica realtà di questa Città, che si candida ad essere capitale della cultura, è quella di non avere uno straccio di cultura urbanistica da applicare a se stessa. Una città che, qualcuno lo ha ricordato in questa circostanza, fu la prima a dotarsi in passato di un piano regolatore, ma che da qualche decennio non è più in grado di darsene uno compiuto con i relativi strumenti attuativi.
Tant’è che il professor Nigro sembra essere, oramai, assunto in pianta stabile a presidiare questa storia infinita. Nel frattempo, essa subisce il poco amorevole modellamento dell¹interesse privato. Anche adesso la storia si ripete. E’ indubbio che, al di là delle rassicurazioni, porre all’inizio di una nuova legislatura, in modo così frettoloso ed approssimato, questo ulteriore carico da novanta (di oltre seicento alloggi con annessi e connessi sul groppone della città), appare essere oggettivamente la manifesta volontà di non voler riprendere nel palazzo di città le redini del governo del territorio e, quindi, l’interesse generale che può discendere solo da una programmazione seria a monte, frutto di una idea precisa e condivisa di sviluppo urbano. A chi si è opposto a viso aperto a questa scorciatoia è stato riservato insofferenza durante la seduta consiliare). Ma senza di loro quella seduta consiliare sarebbe scivolata tragicamente nell’ordinaria amministrazione. Senza di loro non si sarebbe riacceso un dibattito sulla cementificazione della città e sul possibile buon governo urbanistico che essa si meriterebbe e che ancora non ha. Non è davvero cosa di poco conto nel piattume culturale e politico odierno. Chi condivide l’elementare concetto che qualità della città e della vita dei cittadini richiedano una qualità architettonica e abitativa frutto di una
pianificazione e programmazione complessiva, dovrebbe forse cogliere l’attimo e compattarsi per riannodare il filo di una riflessione pubblica e di qualità, per provare ad aiutare e spingere nella direzione giusta chi è chiamato a decisioni così importanti. Non tutto, forse, è perduto.
Vito Bubbico
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