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di Vito De Filippo
Presidente Regione Basilicata
Equilibrio. E’ il principio che mi ha portato a non parlare negli anni delle indagini “omnia” della Basilicata. E’ il principio di cui l’Italia ha bisogno per garantire una vita “normale”, alla Nazione, per allontanare i rischi che un dibattito, come quello sulla giustizia condotto a livello nazionale, in un clima di rissa, può portare per il corretto funzionamento del Paese, per la serena crescita dell’Italia. La democrazia costituzionale, mi annoto quotidianamente, fonda la sua forza sulla separazione dei poteri.
Se oggi ho scelto di parlare, rispondendo a un pressante invito del Quotidiano, è per tentare di mettere in campo qualcosa di costruttivo per il futuro, non per commentare il passato, ottenere rivalse o rivincite o pretendere risarcimenti. E per questo dico qualcosa che sgombri subito il campo dagli equivoci: quando diciamo (e lo diciamo tutti) che essere indagati non vuol dire essere colpevoli diciamo implicitamente che è normale che indagini possano concludersi riconoscendo l’inesistenza di fatti qualificabili come reato o di colpevoli. Questo non deve essere motivo di scandalo o di colpa per chi, doverosamente, in ossequio a un principio di obbligatorietà dell’azione penale in cui mi riconosco, ha indagato. Dico questo anche se proprio il numero di procedimenti, le tante attenzioni rivolte dal potere giudiziario all’attività amministrativa di questa Regione, potevano rendere chiaro in modo palmare che nessuna “rete di protezione” c’era a difesa di nessun ”sistema”. E, aggiungo, hanno tutti i “protagonisti” dei poteri democratici e costituzionali sempre agito così?
Il capitolo, comunque, è chiuso. Questo capitolo è chiuso. Ma ora (e solo ora) può e deve entrare in campo la politica con le sue analisi. E da fare ce ne sono. Una, nell’interesse della Basilicata, l’ho messa nero su bianco in una lettera inviata al direttore del Corriere della Sera. Perché se l’inchiesta, giustamente, ha dovuto fare il suo corso, alcune amplificazione dell’attività degli inquirenti, date non come ipotesi ma come certezze, hanno prodotto un danno non ai singoli, ma alla Basilicata nel suo complesso e sarebbe equo, ancora una volta in rispondenza a quel principio di equilibrio, che oggi chi, sia pure in buona fede, ha prodotto questo danno faccia qualcosa per ripararlo.
Ma come detto, la vicenda “toghe lucane” che si è conclusa non ci lascia solo questa lezione. Ho ricordato di essere stato a lungo in silenzio. Vi garantisco che non è facile. Ci sono stati momenti terribili nelle vicende degli ultimi anni di cui non riesco nemmeno a parlare e per i quali, mi si consenta l’unica digressione personale, devo dire oggi un sentito grazie a mia moglie e ai miei figli per avermi dato fiducia e forza. Ma se anche in quei momenti, di fronte a chi accusava, irrideva, gridava contro la mia terra e contro di me ho mantenuto un atteggiamento di temperanza, l’ho fatto anche nel rispetto del ruolo istituzionale che rivestivo e che mi imponeva il rispetto dell’attività di chi, in nome di altre Istituzioni, faceva il suo dovere. Senza debordare, rinchiuso a volte nella forza della mia coscienza che mi ricordava come i miei comportamenti con altri poteri dello Stato, con le imprese, erano senza dubbio alcuno improntati alla limpidezza e al rispetto.
Senza debordare. Le istituzioni devono fare il proprio dovere senza debordare. La politica non deve provare a sostituirsi o sovrapporsi agli altri poteri dello Stato, altri poteri dello Stato devono rifuggire dalla tentazioni di sostituire o condizionare altri apparati dello Stato, anche solo tenendoli in uno scacco perenne, minandone la credibilità, lasciando la possibilità che la cultura del sospetto e dell’insinuazione si insinui come una crepa in quel muro di solidità che è e deve essere la Giustizia per essere veramente giusta.
In proposito c’è un passaggio che reputo illuminante nel saggio “L’umiltà del male” di Franco Cassano edito di recente da Laterza. Cassano cita il discorso del Grande Inquisitore di Dostoevskij. «Chi ha gli occhi fissi solo sul bene – scrive – spesso ha deciso di non guardare altrove: l’urgenza di giudicare, di misurare l’ “essere” sul metro del “dover essere” lo porta a guardare con impazienza chi rimane indietro e tale mancanza di curiosità lo porta alla sconfitta». Se vogliono far crollare questo potere, i migliori devono smettere di specchiarsi nella loro perfezione. E ricorda che il trionfo del Grande Inquisitore deriva dall’abbandono del campo da parte dei «dodicimila santi», onesti, ma un po’ troppo presuntuosi e saccenti.
La politica non deve far parte di quei “dodicimila santi”. Non deve averne la presunzione, non deve averne l’atteggiamento di distacco che porta all’affermazione che è meglio non incidere con la realtà che correre il rischio di mischiarsi con la “zona grigia” fatta di errori di rischi di interessi. La politica deve agire nel mondo e governarne i processi, ai singoli la responsabilità di fare i conti con tutte le realtà, ma senza mai cedere sui principi, le leggi, la dignità delle istituzioni. Ma anche gli altri poteri dello Stato non fanno parte di quei “dodicimila santi” e non devono averne la presunzione e l’atteggiamento “sciamanico” di ridurre tutto in modo manicheo al dualismo legalità-illegalità. Ci sono ambiti che sono sottratti a queste valutazioni, non nel senso che siano sottratti alla legalità, ma che rientrano nell’ambito delle scelte con la loro opinabilità.
L’attualità della Giustizia ci consegna un gran numero di procedimenti che riguardano l’istallazione di impianti di rinnovabili e scelgo questo campo per avere la serenità di parlare di qualcosa che risparmia la Basilicata, reduce da una lunga moratoria su questa materia. Ma decidere se consentire o non consentire un campo eolico può essere sì questione di illecito (se c’è una trama, un pagamento di tangenti, un sopruso o un interesse illegale) ma può essere anche questione legittima di scelta programmatoria. E così come un’inchiesta legittimamente può essere fondata o infondata, una scelta può essere più o meno giusta o più o meno sbagliata senza che questo si riverberi necessariamente sulla sua legalità. Pretendere di misurare e sanzionare con il metro giudiziario l’efficacia o la giustezza delle scelte, rappresenta un’invasione di campo che determina il turbamento di quel principio di equilibrio alla base del mio ragionamento da parte di chi assume di essere tra i “dodicimila Santi”.
Ognuno ha il suo ruolo e lo esercita nell’interesse dello stesso Stato. Io ho il mio, e lo porterò avanti sapendo fin d’ora che inevitabilmente finirò ancora sotto l’obiettivo della Giustizia e vivendo questo con serenità perché è un sistema di garanzia per tutti ancor prima che un monito per il corretto operato di ciascuno. Ma questo, mi sia consentito, lo dobbiamo tenere ben presente tutti, sempre. Lo dico, in sincerità, a Luigi De Magistris. Nulla da dire sul suo lavoro di magistrato che ho rispettato allora in silenzio, ma lo invito a riflettere quando oggi commenta l’archiviazione dell’inchiesta dicendo che “i cittadini lucani conoscono la verità, quindi la giustizia verrà a galla”. Così come reputo assurdo che parlamentari leghisti possano sostenere di non riconoscersi in questo Stato, dico senza mezzi termini di ritenere inaccettabile più che inopportuno che un europarlamentare (oltre che ex magistrato) possa disconoscere la Giustizia dello Stato Italiano.
Allo stesso modo, un minimo di riflessione l’ho chiesta a chi, nelle alterne fasi delle vicende di questa regione, ha puntato il dito sia contro la mancata reazione agli attacchi patiti, indicandola come dettata da viltà, sia contro la scelta di non prestarsi a processi di piazza rispetto a ombre e voci che a tratti con una periodicità quasi mefistofelica, portano qualche testata nazionale a ricordarsi solo per questi casi che la Basilicata esiste. La scelta che abbiamo fatto, sempre, è quella della temperanza, di aspettare la verità, di non essere succubi di improvvisati tribuni.
Equilibrio. Equilibrio avrebbe voluto che come quando il Corriere il 26 febbraio 2007 pubblicò la notizia di Toghe lucane dandola non come una ipotesi, ma come manifestazione di inappellabili certezze, quella Basilicata accusata non si fosse mostrata provincialmente succube a una verità rivelata facendo, spesso da cassa da risonanza come ebbi modo di riferire in Consiglio Regionale. Allo stesso modo, equilibrio vorrebbe che questo non avvenga in altre occasioni e che, a maggior ragione alla luce delle esperienze fatte, fatte da tutti noi, non abbia a ripetersi.
Ma non si può prescindere dall’equilibrio principalmente se ci si propone di cambiare questo sistema che, con tutti i suoi limiti e difetti, comunque sta in piedi. Meglio la possibilità di giornali che sbaglino che non una censura preventiva e generalizzata che sarebbe un cavallo di troia per antidemocratici, affaristi e faccendieri. Ed anche se è un male per la qualità della democrazia, meglio perfino una Giustizia che indulge un po’ troppo all’interventismo, piuttosto che un sistema discrezionale che porterebbe i potenti ad essere “un po’ più uguali degli altri” davanti alla Legge. Ma soprattutto lavoriamo tutti a una grande “riforma” che possiamo definire etica: ognuno, nel suo lavoro, metta più equilibrio. Non si insegua il potere, non si cerchi la notorietà. Si combattano la corruzione e l’arricchimento, ma anche la disinvoltura nel distruggere vite e dignità pur di conquistare prime pagine sui giornali. E magari scopriremo che il sistema funziona anche così.
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