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E’ IL 6 febbraio del 2009 quando i carabinieri di Metaponto trovano sulla spiaggia una ragazza rumena di 26 anni. E’ piena di lividi, è seminuda ed è sotto shock. Gli uomini dell’Arma la soccorrono e la portano in caserma.
La ventiseienne, in stato confusionale, ha non poche difficoltà a raccontare cosa è accaduto anche perché i suoi ricordi non sono nitidi. Poi pian piano la storia comincia a prendere forma.
E i carabinieri, man mano che la ragazza racconta tutto quello che le è accaduto, rimangono sempre più allibiti.
La terribile storia di violenza ha inizio nella notte a cavallo tra il 3 e il 4 febbraio del 2009. Lei – la chiameremo Sophia – si trova a Torino in compagnia di tre persone. Le conosce, più o meno tutte. Uno del gruppo nutre nei confronti della ragazza qualcosa che va al di là della semplice amicizia. Ci prova ma Sophia si sottrae a queste attenzioni particolari. E’ l’inizio dell’incubo. I tre la sequestrano.
La ragazza, dopo essere stata drogata, viene caricata su un’autovettura. E’ ostaggio dei tre.
Tre che decidono di lasciare immediatamente Torino. Sanno dove portarla. Un loro amico ha una casa – molto probabilmente è l’abitazione dove questo trascorre le vacanze – nei pressi di Metaponto. Il viaggio verso sud ha inizio ma il peggio deve ancora venire. Sophia, dopo ore e ore di viaggio, entra in quella che per due giorni sarà la sua prigione e il luogo delle sue torture. Ad attenderla ci sono altri 4 uomini.
Sotto la minaccia delle armi la ragazza per 48 ore viene violentata a turno, picchiata, seviziata e drogata. Poi viene abbandonata sulla spiaggia di Metaponto dove la trovano i carabinieri. Agli uomini dell’Arma Sophia fornisce alcuni elementi per potere risalire all’identità dei 7, i 3 sequestratori e i 4 aguzzini. Tutti parlano con un marcato accento campano. Tizio è alto tot, Caio ha i capelli neri. E così dicendo. Molto probabilmente di qualcuno ricorda il nome. Il tutto viene messo a verbale. Bisogna individuare il branco. E così la denuncia di Sophia viene girata ai comandi di varie parti d’Italia. Approda anche a Napoli. Qualche nominativo attira l’attenzione dei carabinieri del nucleo investigativo della città partenopea. Viene subito informata la Dda. Tra i sette c’è qualcuno di non poco conto che porta direttamente a Casal di Principe e al famigerato clan dei Casalesi.
Venerdì, in quello che comunemente viene definito confronto all’americana, la ventiseienne riconosce tutti e sette i suoi aguzzini.
Ieri mattina i carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli hanno arrestato Giuseppe Borrata, 27 anni di Casal di Principe, figlio di Francesco, affiliato ai Casalesi; Mario Grimaldi, 55 anni, pensionato; Fabio Marotta, ragioniere di 26 anni e Carmine Timpanelli, 32, guardia giurata. Questi ultimi tre sono di Mondragone, in provincia di Caserta. Identificato anche un altro componente del branco che, però, non è stato arrestato solo perché nel frattempo era già finito dietro le sbarre per un altro reato. Le accuse per loro sono di violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona , detenzione e porto illegali di armi da fuoco con l’aggravante del metodo mafioso. Gli uomini dell’Arma sono ancora al lavoro, non solo per risalire all’identità di altri due complici, ma soprattutto perché c’è il sospetto che le persone arrestate di reati ancor più gravi.
Alessia Giammaria
a.giammaria@luedi.it

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