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In tutti questi anni che mi sono occupato di cronaca nera e di cronaca giudiziaria in Basilicata, mi sono potuto rendere conto di quanto fosse avvelenata e risentita la nostra terra, specialmente la città di Potenza, troppo a lungo in ostaggio delle menzogne, degli odi di classe, dei calcoli del potere, dei silenzi, dei messaggi obliqui e delle camarille a fin di male. La dico tutto, senza infingimenti: io sono figlio di contadini, e della Basilicata avevo sempre e solo visto e studiato la vita delle campagne e dei paesi, sfiorando solo in minima parte i poteri e le ideologie cittadine, in specie di Potenza, centro dei poteri regionali, dove io ero andato in gioventù solo per fare la visita militare.
Sono entrato in tante vicende politiche, giudiziarie e criminali con il passo sciolto e un po’ ingenuo di chi è armato solo di ragione (fallace perché umana) e di sfrontato coraggio, perché vi garantisco che ci vuole molto coraggio a subire quel che ho subito io smontando e rimontando in solitudine, e sottoponendo al vaglio dei fatti e della logica tutta una serie di fatti sui quali molti si erano adagiati o per ignavia, o per viltà, o per ignoranza, o per squallido interesse. Ora che ho ragione, preferirei di gran lunga aver torto, perché abbiamo comunque perso tutti, e poi perché a differenza di Folino io ho davvero un brutto carattere, e se c’è una cosa che proprio non mi piace è partecipare a una parata in cui si consegnano medaglie, coppe e attestati ufficiali. Chi mi conosce, sa che odio le fanfare e le bande di paese. Animale forastico e solitario ero, animale forastico e solitario rimango.
Spesso ho sentito dire che bisogna che i meridionali imparino dalla Lega Nord, ma io dico che di quel modello bisognerebbe saper imitare la sostanza viva: ovvero l’orgoglio, il coraggio, il saper lottare – rischiando di perdere tutto, anche lo stipendiuccio politico – per una causa che si ritiene giusta. In Basilicata, invece, vedo solo prudenza e viltà, difesa dei privilegi, degli ottusi stipendi, degli assetti consolidati. Solo prudenza e viltà hanno permesso a gente (che la nostra terra ha letteralmente stuprato) di venire da noi e poi dire al mondo intero una clamorosa falsità, ovvero che eravamo mafiosi, corrotti fino nelle midolla, vittime di massoni, affaristi e ‘ndranghetisti. Siccome però in molti lucani c’è ancora il morbo della servitù, sono stati tanti i lucani che anziché prenderli a calci nel sedere, si sono messi a portare nei loro uffici il caffè bollente e le confidenze delle “malelingue”.
Fare come la Lega Nord, voi dite? Magari, rispondo io. Perché all’orgoglio sincero e appassionato e alla difesa della verità e della dignità, si è preferito fare i pesci in barile, trattare segretamente col nemico, mandare ambasciatori e travet qua e là a questuare benevolenze, e a fornire intelligence sottobanco, magari per colpire il nemico vicino di banco, il competitor. All’orgoglio si è preferito la vigliaccheria, perché ci sono sempre molti sciocchi che durante la guerra si improvvisano mercanti, ignorando che quando si soccombe si soccombe tutti insieme.
Chi ha dunque difeso la Basilicata quando la Basilicata era ostaggio di una guerriglia mediatico-giudiziaria di inaudita ferocia? E chi smantellerà, adesso, quel violento corpo armato che su quella guerriglia ha costruito fortuna, visibilità, favore, anche economico, delle istituzioni? Il disegno eversivo che si è manifestato in questi ultimi dieci anni in Basilicata ha permesso che gente come me passasse per “difensore dei potenti”, per “colluso”, per “complice” delle malefatte, e questa è stata per me la cosa più dolorosa, perché ho sentito calpestata la mia dignità e la mia storia di scrittore e di intellettuale indipendente. Perché ho subito tutto questo?
Se tutte le morti sospette, tutte le scomparse, i pochi omicidi della Basilicata fossero stati trattati nelle altre regioni con la stessa morbosità e malafede, e con lo stesso accanimento mediatico e giudiziario che noi abbiamo visto esercitare sulla nostra terra, alla fine non si sarebbe parlato d’altro, in Italia, e della Basilicata nessuno si sarebbe mai occupato. Invece siamo diventati il centro di un ossessivo buco nero, e chi ha osato sollevar dubbi su tali false verità è stato gettato senza pietà nel nero calderone dei corrotti e dei venduti (non dimenticherò mai la frase che disse in un ufficio pubblico il famigliare di una vittima, che porterà per sempre sulla coscienza la propria ottusa disonestà, ovvero “Di Consoli è a busta paga di Cannizzaro”: io, proprio io, che spesso non ho neanche i soldi a sufficienza per pagare l’affitto di casa, e mi barcameno come tutti per mantenere dignitosamente la mia famiglia e che, pur di mantenere indipendenza e libertà, rifiuta sistematicamente ogni forma di collaborazione con gli enti pubblici). Come se poi Cannizzaro fosse davvero il miliardario che si pensa (troppi, in Basilicata, sono molto più ricchi di lui, e non hanno la sua stessa limpidezza). Ma lasciamo perdere, perché in questa storia tutti noi dobbiamo imparare a perdonare e, almeno un po’, a dimenticare il male subito. Altrimenti non finirà più, questa rabbia e questo risentimento. E con il sangue amaro, si sa, non si fa niente di buono.
Cari lettori del “Quotidiano”, sento di dovervi confessare una cosa: più volte ho pensato, in questi ultimi due anni, che alla fine di queste vicende non avrei mai più messo piede in Basilicata (in veste pubblica, s’intende, vivendo i miei genitori ancora lì, ed essendo io affezionato a loro e alla mia sperduta contrada). Non sapete quante volte mi sono domandato: “Ma chi me lo fa fare?” Vi confesso anche che l’ho odiata, questa Basilicata di questuanti, di vili, di rimestatori di melma, di falsari, di menzogneri, e che oggi che persone come Cannizzaro, Genovese e Bubbico sono state definitivamente ripagate dalla verità e dalla giustizia, sento che una fase della mia vita volge al termine, anche se ho l’amaro in bocca, perché le ho viste piangere – queste persone, questi presunti “mafiosi” e malviventi – quando hanno subito quel che hanno subito, e questo dolore ingiusto e impotente non potrò mai più dimenticarlo.
Nei giorni in cui De Magistris (in foto)pareva dovesse arrestare Bubbico, il senatore del Pd mi confessò che aveva ripetuto mentalmente un’infinità di volte il discorso che gli avrebbe fatto a muso duro. Era un discorso colmo di dignità e di orgoglio, in cui Bubbico parlava di suo padre agricoltore e della sua etica legata alla terra. Fu un momento commovente, per entrambi, e queste cose non si dimenticano. Così come fu commovente vedere le lacrime di Cannizzaro quando fu ritrovato il corpo della povera Elisa Claps, ponendo termine una volta e per sempre alle dicerie dell’acido e del cemento. Erano le lacrime di un onesto padre di famiglia, e anche quelle lacrime non dimenticherò mai.
Sui magistrati e sui giornalisti che hanno fatto quel che hanno fatto ho già detto a lungo in molti articoli, usciti su queste colonne e soprattutto sulle colonne de “Il Riformista”. Perciò mi fermo qui. Adesso tocca ai lucani decidere se diventare una terra di coraggio e di orgoglio e di robusta cultura civile, oppure una terra di bugiardi, di rimestatori e di disonesti. Non abbiamo solo bisogno di uomini con la schiena dritta, ma di uomini che sappiano camminare a testa alta e che sappiano guardare negli occhi la gente – e, soprattutto, che siano liberi di poter parlare, di rivendicare orgoglio e verità, di difendere la nostra terra senza calcoli e prudenze, in ogni circostanza, costi quel che costi.
E io? Io, nel mio piccolo, dovrò ri-imparare ad amare nuovamente la mia terra, magari tornando a girare i paesi in solitudine, a perdermi nei vicoli scuri e caldi delle tante contrade di Lucania; dovrò fare una sorta di riabilitazione sentimentale e affettiva, anche per poter ancora trovare le parole per dire a mio figlio: “Ecco, Claudio, guardala sempre, anche quando non ci sarò più: questa è la terra di tuo padre, amala per mille, e ancora mille, e altri mille motivi” (parole che oggi non riesco a dirgli, purtroppo).
Ne siamo usciti tutti con le ossa rotte, ammettiamolo, anche chi ha vinto, anche chi si è visto riconoscere giustizia, dignità e onestà. Voglio amarla ancora, la mia Basilicata, ma devo lasciarmi alle spalle il veleno di Potenza, una città presa d’assalto da troppa gente cattiva, da troppi questuanti e da troppi mediocri. Scusate lo sfogo, ma non ho fatto questa battaglia civile per avere incarichi e prebende o applausi in piazza, ma solo per ristabilire verità e ragione, e per assecondare un fortissimo istinto civile. Eppure vi confesso che non la amo più come una volta, la mia terra. E questo mi fa male. Perciò aiutatemi e aiutiamoci a trovare insieme nuovi motivi per amarla al di là della bellezza del paesaggio, che non è merito dei lucani, ma solo del Signore o del Caso. Altrimenti, ognuno per la propria strada. Perché nessuno è indispensabile. Io per primo.
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