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POTENZA – «Aspettiamo un altro po’». E loro hanno aspettato. Solo qualche ora dopo, mentre il corteo lentamente si ingrossava, gli studenti della città hanno capito che non erano poi così pochi.
Appuntamento alle 9 in piazza Zara, prima di raggiungere tutti gli altri. Pochi cartelloni, pochi volti e tanta delusione. «Non ci sono scuse, chi vuole, sa come arrivare». Decisamente meno delle aspettative, tra i cartelloni preparati e la chiazza bianca delle felpe d’ordinanza del Flacco. Dal Pasolini, dal Pedagogico, dall’Isa, «va bè, partiamo». Si è fatta l’ora, anche perchè poco più avanti, in viale dell’Unicef si radunavano i colleghi arrivati da altre regioni, pure loro con i cartelloni, ma decisamente di più. «Che delusione». Eppure, fortunatamente, dura poco. Quello che ancora non sanno, gli studenti medi potentini, è che c’è chi ha deciso di entrare nel corteo da un’altra altezza, chi ha aspettato i pullman. E’ solo verso la piazza Verrastro, quando sul palco è già cominciato il «rosario dolorosissmo» di nomi delle vittime delle mafie, ma la coda del corteo è ancora lontana, che anche gli insegnanti distribuiti tra la folla capiranno come, invece, i loro ragazzi ci sono. Dispersi, in gruppi, ma non hanno disertato. «Bene, questo ha un senso».
C’è tanta scuola nella città che ha aderito alla giornata, ci sono tanti bambini, con genitori e maestri al seguito. E poi impiegati, negozianti, pensionati, professionisti. Potentini, mescolati ai gruppi organizzati, dal Friuli alla Sicilia, ma anche da Muro Lucano, Pietragalla, dal Vulture.
In questo quadrato di capoluogo, chiuso tra gli uffici regionali e la zona commerciale, invaso da volti e canzoni, stipato sotto gli ombrelli e gli impermeabili, si celebrava una giornata che «invitabilmente resterà alla storia di Potenza». Per il senso che si porta dietro, per la gente che ha contenuto e per la «sfida» organizzativa non da poco in questa città di provincia, che non è più un paese e non è ancora metropoli. Però che bella Potenza piena di gente, riunita in piazza per una battaglia di legalità e poi, per chi è rimasto, animata nel suo centro, nei suoi vicoli e sulle scale mobili, ponte tra la parte nuova e quella vecchia del capoluogo. L’invasione «civile e festosa» e l’accoglienza. «Tanta gente così, non si vedeva da un pezzo». Ed è vero. Non è sfuggito ai commercianti che hanno allestito menù a prezzo fisso e innalzato pile di bottigliette di acqua davanti alle saracinesche. Un euro per mezzo litro. Pochi chilometri più avanti, nella piazza del grande palco e delle dure parole di don Ciotti, delle famiglie e degli scout, l’acqua era «bene comune», offerto a chiunque dall’amministrazione.
Ci vuole più di un’ora e mezza perchè entrata in piazzale Verrastro la testa del corteo, con don Marcello Cozzi e Filomena, la madre di Elisa – quando il suo nome risuona, la città lo sente -, ci arrivi anche la coda. E’ che alcuni pullman hanno fatto tardi e finisce che mentre i primi passi già avevano raggiunto metà percorso, in viale Firenze, la fondovalle si era «riempita da esplodere» e altri bus raggiungevano la zona industriale. Il colpo d’occhio, dalle balaustre del ponte attrezzato, «non era male». Il tempo regge per poco, poi la pioggia non darà pace. Spuntano gli ombrelli e i ripari di fortuna. «Vuole un poncho? Sono due euro». All’occorrenza, l’offerta popolare propone anche questo, oltre ai panini e alle bandiere della pace. Si lavora di lena anche nei bar attorno alla piazza: strapieni, ma prima si fa lo scontrino.
Si piange, si ride, lo stomaco stringe, il cuore prega. Il dolore delle vittime è la speranza dei ragazzi di Scampia, persi dietro a un pallone. Giocano nel piazzale, e così sfuggano alla Camorra. Il pianto delle famiglie è il sorriso degli alunni della scuola Busciolano di Potenza, in fila, in silenzio dietro a un cartellone costato ore di impegno. Poi don Ciotti saluta con una parola di speranza. «Ha pure smesso di piovere». Si disperde il fiume di gente, i gonfaloni ripiegati con cura, i lampeggianti in funzione. «Di lì, andiamo di lì». Per via del Gallitello le comitive, in senso opposto l’assalto al ponte attrezzato. E loro, i volontari delle associazioni di protezione civile, i vigili urbani, gli operatori sanitari sono ancora lì, sentinelle da ore. Le giacche sono inzuppate, «ma va bene così». Sono anche loro volto della testimonianza di legalità, della voglia di esserci. Da oggi si torna alla prova quotidiana. Resta il racconto di un sabato che «per un bel po’ non ci capita più».

Sara Lorusso

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