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«In quel tempo Gesù disse: non li temete dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo alla luce e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti». E’ subito dopo questo significativo passo del Vangelo di Matteo che l’arcivescovo di Potenza Agostino Superbo prende la parola: «Per noi sarebbe meglio tacere in questo momento, ma qualcosa dobbiamo dire». La chiesa della Santissima Immacolata di rione Cocuzzo è un’anteprima di quello che stamattina sfogherà per le strade di Potenza. L’organizzazione è febbrile: giornalisti, autorità e ospiti devono essere tutti muniti di pass, altrimenti la chiesa è off limits. «Sedetevi lì, per favore non alzatevi a scattare le foto mentre celebriamo la funzione, stiamo pregando qui». Tra i banchi si accomodano il sindaco Santarsiero, una folta schiera di consiglieri comunali, il capo della squadra mobile Barbara Strappato. Sull’altare salgono Superbo e il vescovo di Acerenza Giovanni Ricchiuti – gli altri quattro sono assenti giustificati – poi don Luigi Ciotti e don Marcello Cozzi. Abito talare bianco con sciarpa rossa al collo, un drappo rosso scende giù anche sulla statua del Cristo. Per terra candele, altre ce ne sono sull’altare. Sono le sei e mezza quando i bus dei parenti delle vittime di mafia parcheggiano nel piazzale che sovrasta la chiesa. Entrano in una composta sfilata e si accomodano nella navata centrale, di fronte all’altare. In prima fila c’è la mamma di Luca Orioli, uno dei fidanzatini di Policoro, assente invece mamma Filomena. Chi frequenta la parrocchia dice di averla vista a messa qualche volta, ma che oggi non sarebbe venuta se l’aspettavano un po’ tutti. Allo staff è stato detto di riservare 500 posti, per i familiari, ma le vittime sono ancora di più. Novecento nomi saranno letti uno dopo l’altro da migranti, fedeli, volontari, persino dai tre operai licenziati della Fiat. Nello stesso elenco di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Pio Latorre, Piersanti Mattarella, Ilaria Alpi, Nicholas Green, Francesco Fortugno, c’è anche quello di Elisa Claps, dei fidanzatini di Policoro, di Francesco Tammone e delle altre vittime lucane. In tutto sedici. Sarà proprio il capo della Mobile ad elencarli e lo farà scandendoli per bene, con la voce di chi a ognuno di essi riconduce una storia. Gli scout intanto – maglione blu d’ordinanza, foulard e calzoncini – si sono accomodati per terra, ché nell’Immacolata non c’è rimasto più nemmeno un banco libero. Qualche operatore televisivo nazionale inizia le sue riprese. Il coro, alla destra dell’altare è vestito di bianco, mentre dà il ritmo alla preghiera collettiva e intervalla un elenco che sembra non finire mai. «La misericordia del Signore ci aiuti a perdonarci a vicenda» dice monsignor Superbo dopo il canto d’ingresso. Al leggio si alternano diverse voci, di cui la più commovente è certamente quella della signora Orioli. La chiesa intera s’ammutolisce mentre legge il profeta Isaia: la veglia funebre, almeno nell’afflato collettivo, inizia da lì. L’abbraccio di don Cozzi alla madre dell’agente Tammone scandisce un’altra emozione: «Mio figlio ha lavorato in Sicilia, poi a Bovalino. Il suo sogno era quello di tornare a Potenza e quando gli dissero che sarebbe stato trasferito pianse di gioia. Poi gente cattiva me l’ha ammazzato. Questo è tutto». Madre Teresa e il Giovanni Paolo II di «mafiosi convertitevi!» servono al vescovo da supporto per iniziare la sua riflessione. Ma è il discorso che don Tonino Bello, prete antimafia morto un anno dopo aver ottenuto la cittadinanza onoraria di Molfetta, fece in occasione di quella onorificenza, il vero messaggio. Salutando le autorità presenti in sala lo cita: «Abbiamo mezzi e possibilità per sollevare il velo di tristezza per le vittime della criminalità. Dobbiamo collaborare per lacerare le maglie di questa rete. I re hanno il compito di governare, i fedeli quello di essere profeti. A lacerare quella rete cominciano i fedeli, ai governanti il compito di costruire una nuova città».

Rosamaria Aquino

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