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di FRANCO CIMINO
Come un virus, la protesta dei popoli sottomessi si diffonde. Dalla Tunisia all’Afghanistan, dall’Egitto alla Libia, scorre copiosa. Come sangue e sudore, urla di popolo e sferragliare di armi di Stato. I giganti che ritenevamo invincibili si sciolgono come statue di ghiaccio al primo sole di primavera. La misera fine di costoro dovrebbe primariamente interessare la psicologia più che la storia e la politica. Esperti e studiosi potrebbero scrivere un trattato sulla psicologia del potere oppure su quella delle dittature. Nel primo leggeremmo del perché i potenti quando cadono si avviano velocemente alla fine senza neppure imboccare quel viale del tramonto tanto demonizzato e scongiurato. Finiscono la vita tra sofferenze e decadenze psico-fisiche terribili. Se sono ancora giovani, li trovi invecchiati che è uno spavento. E brutti anche. Come non lo sono apparsi mai, quando invece brutti lo erano davvero. Il potere, come la giovinezza, contiene una sua forza che cambia la vista degli altri su chi lo detiene, rendendolo bello. Forte, invincibile. E intelligente, perché l’intelligenza ruvida che è nel potere, come un abito, veste chi lo esercita. Chi perde il potere perde se stesso e il contatto con la realtà. Gli manca l’aria, rapidamente non respira, soffoca. E muore. Muore davvero. Numerosi sono i casi che la storia ci consegna di regnanti disperati senza più regno. Ma i dittatori caduti in questi ultimi giorni, esprimono molto più emblematicamente il dramma del potere. Ben Alì, capo della Tunisia, deposto dopo vent’anni, sta morendo in un luogo nascosto. Mubarak, il rais dell’Egitto , si rifiuta di ricevere le ultime cure, imprigionato nella sua casa di Sharm el-Sheikh. Eppure entrambi avevano parlato in tv un attimo prima della rocambolesca fuga. Sembravano ancora sani, nei loro propositi di non rinunciare alla carica e di continuare a resistere. Solo Gheddafi, non ancora stanco del suo quarantennale potere corrotto e violento, ancora semina morte e distruzione intorno alla sua caduta. Pazzo, più pazzo di sempre. Cosa si aggiunge alla perdita di sé, al misconoscimento del proprio io lungamente sepolto sotto una personalità posticcia, maschera caricaturale del governante senza macchia e senza paura? Appunto queste due ultime due sensazioni, macchia e paura, si aggiungono come forza dirompente. Sono le uniche emozioni che essi provano. I dittatori caduti sentono il peso schiacciante, improvviso, di una responsabilità grave nei confronti del proprio popolo, fatta di lutti, sangue, tormenti e privazioni. E la paura matta di dover pagare duramente per tutto questo, secondo quella legge della vendetta immediata ritorsivamente veicolata sulla rabbia incontenibile della ribellione. C’è, ma non centralmente, anche la propria, di rabbia, nel non essere riusciti a portare con loro milioni di banconote e tonnellate di oro, diamanti e gioielli pervicacemente nascosti in posti segreti del proprio regale palazzo. Sì, perché i potenti hanno l’intelligenza del potere ma la stupidità dello stupido, attraverso la quale ripongono più fiducia nel classico tesoretto sotto la “mattonella” che non nei titoli bancari e immobiliari miliardari sparsi in tutto il mondo. Il secondo trattato sulla psicologia collettiva nella dittatura, riguarderebbe l’atteggiamento che assume il popolo nei confronti del potere assoluto. Questo fenomeno, sebbene risulti avvantaggiato dal primo lavoro, avrebbe maggiori difficoltà di interpretazioni. La caduta dei potenti, specialmente se tiranni, la loro disperata reazione e la conseguente perdita del proprio essere, il terrore che hanno del proprio popolo prima sottomesso, rivela per intero la loro pochezza morale e la loro mediocrità culturale. Lo erano prima in questo modo non certo lo sono diventati, di sicuro non può averli ridotti così la caduta del regime. Qui allora sorge il dramma principale. Riguarda il perché i popoli si lascino abbindolare da uomini mediocri e da questi si facciano condurre dritti dritti nella dittatura. Cambiano le epoche, gli uomini sono diversi, ma il popolo è sempre uguale. Tralasciamo anche qui i tempi più lontani. Restiamo alla “contemporaneità” degli ultimi cent’anni, fermiamo lo sguardo sulle regione le più diverse di questo nostro mondo, ancora tanto immobile sul piano morale e politico quanto avveniristico su quello tecnologico. In Europa Hitler, Mussolini, Francisco Franco, i colonnelli greci e Salazar in Portogallo più qualche timido accenno di populismo e autoritarismo in Francia. Il Sudamerica dei militari golpisti degli anni Settanta- Ottanta. E i paesi orientali , dalla Cina all’Unione Sovietica, apparentemente casi a parte e singolari. E poi la Cambogia, la Thailandia, la Birmania. Infine i paesi arabi e africani, quasi tutti. Insomma, c’è più mondo sottomesso a regimi dittatoriali che uomini liberi. La storia non insegna e non corregge, non educa e non ribalta le culture e le coscienze. Così il terrore ritorna con la malvagità dell’animo umano e la sua potente volontà di sterminio. L’uomo sempre uguale dentro un popolo che non cambia, trasferisce le sue paure, le difficoltà del vivere quotidiano, la sua ansia per il futuro nell’uomo forte che rappresenta il sogno di potenza, sua e della nazione. L’uomo forte utilizza l’ ignoranza della gente – ieri – e la forza di persuasione del pensiero unico massmediale – oggi – per addomesticare le coscienze, indirizzandole verso obiettivi forzati. Quali per esempio, l’odio per il nemico di rimpetto, le vendette dei torti subiti dalla nazione, la sete di gloria e di potenza, il diritto a costruire l’impero, fondato sui fasti del passato e sulle ricchezze naturali di oggi. Per questi miraggi di potenza – benedetti dalla parola di Dio di cui il popolo ne diviene messaggero e il capo il suo profeta – i popoli sopportano tutto e accettano un qualsiasi rais, un qualsiasi mediocre colonnello che si faccia imperatore. Accettano di essere comparse di uno psicodramma collettivo, che si alterna tra la farsa e il crimine, tra la fedeltà a Dio e la pretesa di un solo uomo di rappresentarlo carpendogli i poteri dell’onnipotenza. Per fortuna i dittatori sono troppo presi da sé e non hanno occhi per la realtà. Per fortuna che sono anche stupidi e lasciano il popolo morire di fame. Per fortuna sono ignoranti e non capiscono che la rete oggi è un sistema che prima ancora del pensare induce le persone a comunicare. La fame e Internet si sono dati appuntamento nelle piazze e lì vi hanno trovato la gente. Milioni di persone che non ce la fanno più a vivere senza lavoro e senza libertà, mentre i pochi governanti e i loro familiari si giocano la grande ricchezza rubata al loro popolo. La ribellione è iniziata un mese fa con quel ragazzo che si è dato la morte a Istanbul. Con le settimane è diventata rivolta. Contagiosa da trasformarsi in rivoluzione. Inarrestabile. Travolgente tutto quel vecchio potere che trova dinanzi a sé. I governi cadono, i dittatori sono cacciati e moriranno in esilio. I popoli si faranno liberi. Ma che ne sarà di loro se quanti in passato avrebbero potuto aiutarli e invece si sono fatti amici dei dittatori, per denaro o stupida compiacenza, ignoranza o fanatismo, li lasceranno soli? Si alleeranno ancora con il primo venuto? Questa è la domanda che l’umanità intera deve porsi.
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