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Demetrio Giuseppe Gangemi, di 41 anni, imprenditore, ritenuto affiliati al clan Lo Giudice è stato arrestato in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Dda di Reggio Calabria. Gangemi, detto «Mimmo», secondo quanto emerso dalle indagini, aveva l’incarico di curare l’arsenale della cosca e si occupava di trasportare, spostare e occultare le armi e gli esplosivi allo scopo di impedirne il ritrovamento.
L’arresto di Gangemi scaturisce dal riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonino Lo Giudice, ex capo della cosca, e Consolato Villani che lo hanno indicato tra gli affiliati della cosca per volere del boss Giuseppe Lo Giudice, padre di Nino, ucciso nel 1990.
Nel corso di una perquisizione in un garage di Gangemi i poliziotti hanno trovato una mitraglietta Norinco, un revolver Astra, una pistola Luger, una pistola Bernardelli, un tamburo per revolver e numerose cartucce per armi di vario calibro. Nell’ambito delle indagini sono state eseguite anche perquisizioni a carico di Vincenzo Laurendi, di 36 anni, titolare del bar Gran Caffè di San Gregorio di Reggio, e nelle abitazioni di Antonino Laganà (50), presunto affiliato alla cosca Lo Giudice, e di Antonio Cortese, (48), detenuto attualmente a Voghera (Pavia). Nella perquisizione nel bar di Laurendi, in particolare, in alcuni locali posti sotto il livello stradale, è stato trovato un vano, nascosto da un muro, idoneo all’occultamento di armi. Circostanza che dà riscontro alle dichiarazioni di Antonino Lo Giudice (in foto al momento dell’arresto) sul ruolo di Gamgemi come armiere dell’arsenale della cosca.

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