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di DOMENICO LOGOZZO
Undici giugno 1980, Rosarno, ucciso il segretario del Pci, Peppino Valarioti: nessun colpevole; 8 agosto 1991, Campo Calabro, ucciso il giudice Antonino Scopelliti: nessun colpevole; 24 settembre 1990, Bovalino Superiore, ucciso il brigadiere Antonio Marino: nessun colpevole. È assurdo che, a distanza di tanti anni, lo Stato non riesca ancora a rendere giustizia ai coraggiosi nemici della ’ndrangheta. Se lo chiedono, angosciati, i familiari delle vittime, se lo chiedono, allarmati, i calabresi che si battono giorno dopo giorno contro l’anti Stato, contro la criminalità organizzata che ammazza e rimane impunita. L’ennesima uccisione di un fedele e onesto servitore dello Stato rimasta “senza colpevoli”, è quella brigadiere dei carabinieri Antonio Marino, comandante della stazione dei carabinieri di Platì. Venti anni sono passati invano. Assoluzione per i presunti responsabili dell’esecuzione mafiosa. Stato sconfitto. Ennesima beffa per le vittime della mafia che ci hanno rimesso la vita per garantire il rispetto della legge in territori dove purtroppo impera l’illegalità e la mafia semina terrore e morte. «È una cosa assurda» ha detto Rosetta Vittoria Dama al cronista del Quotidiano della Calabria, quando ha saputo la notizia delle assoluzioni per l’uccisione del marito. Un altro delitto impunito, che provoca sgomento tra i calabresi buoni e onesti. Troppi assassini in libertà, spavaldamente in giro nelle nostre città e nei nostri paesi, pronti a colpire nuovamente, con ferocia bestiale. Killer sanguinari, senza scrupoli. Esecutori di sentenze emesse dai capimafia, per togliere di mezzo le persone scomode. Come Peppino Valarioti, assassinato perché a Rosarno voleva impedire alle cosche di comandare su tutto e su tutti: politica, appalti, agricoltura. Tutti “affari” che dovevano essere “Cosa loro” e non libera scelta dei cittadini rispettosi della legge e della convivenza civile. Una bocca che doveva essere chiusa per sempre. E così è stato, nella notte di giugno, dopo che il segretario del Pci aveva festeggiato il positivo risultato elettorale, il piombo assassino ha trasformato la grande gioia in un grande lutto. E oggi, a oltre 30 anni dalla “esecuzione”, viene coraggiosamente chiesta dalla gente onesta di Rosarno la riapertura del caso, nella speranza di arrivare finalmente alla condanna dei mandanti e degli esecutori dell’omicidio. E non sono stati neppure condannati i mafiosi che hanno ideato e attuato a Campo Calabro, l’agguato al giudice-galantuomo Antonino Scopelliti. Una vita per la legalità. Contro tutte le inique azioni che a partire dagli anni settanta avevano avvelenato l’Italia democratica. “Cosa Nostra” gli aveva offerto diversi miliardi per “aggiustare” un processo. Ma Scopelliti non si era fatto corrompere. Non aveva ceduto. Non si era fatto intimorire. La legalità prima di tutto. La giustizia. È morto per la giustizia. Ma ancora non è stata fatta giustizia sulla sua morte. La figlia Rosanna, una ragazza coraggiosa, forte e determinata, si sta battendo per giungere alla identificazione e alla condanna dei responsabili. È riuscita a squarciare il lungo e assurdo silenzio. Una “rimozione dalla memoria” che alcuni giorni dopo l’omicidio il giudice Giovanni Falcone aveva denunciato. Si trattava di un delitto eccellente. “Cosa nostra” aveva fatto fuori un nemico pericolosissimo. E questo doveva far riflettere chi istituzionalmente aveva il dovere di valutare la gravità del colpo inferto allo Stato. Invece non è stato così. I colpevoli non sono stati mai puniti. Ha vinto la mafia. Ha perso lo Stato. A questo proposito è più che mai opportuno ricordare una riflessione del giudice Giovanni Falcone morto nella strage di Capaci. Parole illuminanti, pronunciate oltre vent’anni fa, ma che restano di grande attualità. Analisi spietata e impietosa. «Tutti i processi in cui non si riesce a tenere in carcere i colpevoli sono una sconfitta dello Stato», diceva Falcone, e aveva ragione, tanta ragione. Lo confermano, ancora oggi, i fatti. Lo Stato risponda adeguatamente all’anti Stato, alla criminalità organizzata che si espande minacciosamente e che penalizza e umilia la Calabria.
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