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di ROCCO VALENTI
Per il 2017 si prevede di concludere i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria (eccetto che per un tratto di una sessantina di chilometri per il quale ancora non ci sono i fondi). Grandioso, evviva. Abbiamo fatto tutti grandi balzi di gioia a leggere la notizia così, esattamente come sarebbe accaduto se avessimo appreso che un uragano disastroso che ha fatto migliaia di morti e raso a suolo centinaia di case avesse salvato uno splendido esemplare di palma nana. Punti di vista. Quello che ieri il quotidiano economico Il Sole 24 Ore ha riferito a proposito delle grandi opere, e tra queste il caso assai poco virtuoso della Salerno-Reggio Calabria, altro non è che l’ennesima mortificazione degli aneliti di vita del Mezzogiorno d’Italia – Calabria in testa – e forse anche la certificazione di morte, per nulla presunta, della sua classe politica e dirigente. Che l’A/3, per lo meno il tratto calabrese, sia, ad oggi, un percorso accidentato – come quello che si percorreva nei primi video-giochi per appassionati di guida – è un fatto che non necessita di accertamenti diversi dalla pura e semplice prova empirica. Basta barzellette, basta paroloni, basta tirare in ballo procedure complicatissime di appalti, subappalti, approvvigionamenti di fondi, previsioni di bilancio e via discorrendo. La gente, quando si accinge a doverla percorrere, deve semplicemente farsi il segno della croce. Cantieri trappola, tratti “ammodernati” eppure dannatamente intasati (perché viaggiare per decine di chilometri a doppio senso su una unica corsia può diventare prova di nervi e resistenza fisica degna di quelle che fanno agli aspiranti astronauti), segnaletica lacunosa, cartellonistica di lavori in corso da pionieri dell’era moderna. una vera porcheria. È questo è il primo dato. Passiamo al secondo. Ci ragguaglia l’inchiesta del Sole 24 Ore: i lavori di ammodernamento dei 443 chilometri dell’A/3 sono stati avviati nel 1999 con la previsione di concluderli nel 2006. Oggi, anno di grazia 2011 (facciamo 2010 per non essere tacciati di ragionare per eccesso di pessimismo o, peggio ancora, di cattiveria) ne risultano completati 210, mentre per altri 173 chilometri il cerchietto di fine lavori è stato spostato sul calendario al 2013. I restanti 58 chilometri sono ancora da finanziare e se pure si trovassero i soldi occorrerebbe attendere comunque il 2016/2017. Inutile invocare un accertamento del perché i tempi si siano protratti così a lungo, altrimenti si rischierebbe di apprenderne l’esito quando tutto il tratto – ammesso che prima o poi sarà ammodernato – sarà già vetusto. Terzo aspetto. Tra lotti, mega-lotti, appalti, appaltini e alibi vari (e mettiamoci pure la ’ndrangheta, che probabilmente c’era pure quando sono state fatte opere importanti trent’anni fa e che sicuramente c’è – con nomi e uomini diversi – nel caso di grandi opere portate a termine con cronoprogrammi virtuosi, ai giorni nostri, in altre aree del Paese), il costo preventivato per rifare il look all’A/3 dai 2,9 miliardi di euro del 1998 è lievitato ai 9,8 miliardi del 2010, passando per i 5,8 del 2000 e gli 8,9 del 2008. Chi paga la differenza? I progettisti, gli appaltatori, i mega direttori generali? No, i cittadini italiani, pagando le tasse e/o rinunciando, più o meno consapevolmente, a un pezzetto di servizi che poteva essere erogato in più coi danari necessari a coprire quei piccoli ritocchi ai costi dell’opera. E se qualcuno si azzardasse a ingarbugliare la matassa tirando in ballo la provenienza delle risorse, per cercare di dire che così non è e che sulla gente comune tutto questo giochetto dell’inefficienza (sempre per essere buoni) e del mangia-mangia (non sempre si può essere buoni) non graverà più di tanto, sappia che di questi tempi ci sarebbero pochi disposti ad ascoltare. Vergogna. I tempi sono duri, anche a prescindere dalle riforme federaliste che – al di là di valutazioni di merito – stanno già mettendo a dura prova gli enti locali di posti disastrati come la Calabria e dintorni. La crisi non è più solo quella della curva del Dow Jones, non è più solo quella dei grafici dei mercati finanziari che mostrano crolli rosso sangue (e che anzi hanno già preso la strada della ripresa). La crisi, come ampiamente previsto, è passata sul piano reale. In Calabria le famiglie che non arrivano più a fine mese sono aumentate a dismisura; molte delle poche realtà produttive hanno chiuso i battenti e l’elenco di chi non sa neppure come iniziarlo, il mese, è drammaticamente in aumento. Anche in questo caso, come per le condizioni della Salerno-Reggio Calabria, basta l’osservazione della realtà. È sufficiente girare nelle città, nei paesi, parlare con la gente, ascoltare i piccoli negozianti, fare la fila negli uffici postali quando pensionati e padri di famiglia vanno a fatica a pagare le bollette e si lasciano andare a sconvolgenti ma dignitose confidenze di difficoltà insormontabili. Provate ad andare alle mense dei poveri: non ci sono solo gli immigrati. E allora ricordarsi che la “grande opera” che è la “Salerno-Reggio Calabria” costa già quasi cinque volte di più fa specie. La “grande opera”. Che se la fanno va bene, altrimenti va bene lo stesso, perché tanto la gente del Sud, i calabresi, sono invisibili agli occhi di chi governa e anche di chi scalpita per governare al posto di quelli che governano adesso. Nessuno che ascolti davvero la voce (per dire le esigenze, i bisogni) di un Sud che, d’altra parte, una voce non ce l’ha. Il metodo empirico va bene anche in questo caso: dove sono i grandi uomini, i grandi politici, i grandi dirigenti che pure nei decenni passati al Sud non sono mancati? Destinato, povero Sud, a subire passivamente, e in colpevole silenzio, tutto quello che passa il convento. Spesso solo parole e insulti. Dove sono i grandi politici, i grandi uomini di spessore e passione, di intelligenza e di risultati, che pure ci sono stati? Niente, dicono i fatti: teniamoci stretta la Salerno-Reggio Calabria, consoliamoci con l’opera “grande”. Tutt’attorno solo molti nani.
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