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Dal Nord al Sud dell’Italia, nelle cerimonie per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, è emersa la straordinaria figura di Emilio Alessandrini, una delle “Toghe rosso sangue”, ricordate nel libro di Paride Leporace. Segno di gratitudine per un esempio di rettitudine. E’ bene far conoscere soprattutto alle giovani generazioni il sacrificio dei giudici che hanno dato la vita per difendere la legge. «Passando davanti all’aula del Palazzo di giustizia di Potenza, intitolata al giudice Emilio Alessandrini, vi invito ad avvertire forte il sentimento della funzione come lui; ho avuto il privilegio di essere suo amico e collaboratore alla procura di Milano negli anni di piombo». Questo il pensiero commosso che il nuovo Procuratore Generale di Potenza ha rivolto al magistrato abruzzese assassinato a Milano 32 anni fa dai terroristi di Prima Linea, dopo avere accompagnato il figlio Marco a scuola. Un “magistrato d’Italia” commemorato nella sua Pescara e ricordato nella “confessione-provocazione” dal sostituto Procuratore di Trento, Pasquale Profiti: «Per noi il 29 gennaio è la data in cui ricordiamo Emilio Alessandrini, Pubblico Ministero a Milano che, 32 anni fa, veniva ucciso dagli eversori, quelli veri, quelli che al posto della nostra arma, la Costituzione, utilizzavano le pistole. Mi piacerebbe, signor Presidente, che al termine del mio intervento non vi fossero applausi, rituali o spontanei, formali o calorosi che siano, ma il silenzio, magari in piedi, dedicato al collega ucciso dai terroristi, affinché la sua memoria ci illumini oggi e, ancor di più, da domani». Alessandrini,una memoria che “illumina”.
Ne parliamo con il figlio Marco. Fa l’avvocato a Pescara. E’ consigliere comunale del Pd. Un impegno politico serio e rigoroso. «L’Italia è un Paese senza memoria», diceva spesso il grande Indro Montanelli. E non aveva torto. Ma c’è per fortuna qualche eccezione. E riguarda proprio Emilio Alessandrini. Un fatto straordinario anche perchè riaccende l’attenzione sulle vittime del terrorismo. Una pagina triste della storia d’Italia.
Avvocato Alessandrini, cosa sta cambiando rispetto al passato? «Una premessa mi pare necessaria. Il terrorismo per decenni è stato un argomento tabù nella società italiana, a causa di quello che lo scrittore cattolico Giorgio Montefoschi ha chiamato “fattore del figliol prodigo”, con un’attenzione maggiore verso i carnefici piuttosto che per le vittime. Questa tendenza sta tuttavia mutando. Mi piace al riguardo citare alcuni fattori: l’impegno costante dell’associazionismo legato alle tematiche della memoria e della legalità (nell’ambito della realtà abruzzese opera da circa un decennio l’associazione Emilio Alessandrini), lo straordinario libro di Mario Calabresi, che per la prima volta – dopo anni di ex terroristi in televisione o ospiti delle nostre università – ha dato con forza la parola alle vittime, nonchè il grande impegno del presidente Napolitano con l’istituzione, il 9 maggio di ogni anno (data del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro), della giornata nazionale della memoria».
Emilio Alessandrini è stato ricordato in questi giorni nella sua Pescara, a Trento e a Potenza, da giudici e da uomini di cultura illuminati. Si aspettava queste straordinarie attestazioni ?
«Confesso di essere rimasto davvero molto colpito e onorato delle attestazioni rivolte alla memoria di mio padre, peraltro avvenute nel nord, nel centro e nel sud del Paese e in un momento di inaccettabili attacchi alla magistratura, con annunciati proclami di pericolose manifestazioni di piazza. Proprio quella magistratura che, per la difesa della legalità e della costituzione repubblicana, ha pagato un altissimo tributo di sangue (26 i magistrati uccisi da mafia e terrorismo, una cifra che non ha pari nei paesi occidentali)».
Suo padre era un fedele servitore dello Stato. Ma lo Stato lo ha protetto adeguatamente?
«Il presidente Pertini all’indomani dell’uccisione aveva espresso il suo stupore per il fatto che Emilio Alessandrini non era accompagnato e protetto da una scorta. Disse: “Misure di sicurezza sarebbero state tanto più opportune se si pensa che il magistrato stava per assumere la direzione di un nuovo «super-pool» di esperti contro il terrorismo”. Era un fatto segretissimo. Ma qualche “talpa”- si è detto annidata persino dentro il Ministero della Giustizia – rivelò l’organigramma. E ne decretò la morte. Sul finire degli anni ’70 ben pochi magistrati avevano misure di protezione, anche se impegnati in prima linea. Tanto per dirne una nel settembre del 1978, pochi mesi prima di essere assassinato, una fotografia di mio padre venne trovata in un covo brigatista, ma nulla venne fatto. In Italia d’altronde occorrono spesso fatti eclatanti e drammatici per smuovere le nostre non sempre deste e vigili istituzioni. E ciò tanto nel passato quanto nel presente. Marco Biagi ad esempio, prima di venire ucciso sotto casa del 2002, veniva bollato come un “seccatore” (il termine per la verità è un altro, assai volgare) dal ministro dell’Interno perchè richiedeva protezione. E ad oggi mi paiono molto rivedibili i criteri di assegnazione delle scorte, più spesso status symbol che rispondenti ad effettive esigenze di tutela».
A 32 anni di distanza, cosa si sente di dire a chi le ha negato il diritto di poter crescere con il sostegno di un grande uomo? Ha mai incontrato Sergio Segio, il terrorista -ora libero e “impegnato nel sociale”- che quella maledetta mattina ha fatto fuoco?
«No, e ad oggi non mi sento nella condizione di farlo». Per concludere, qual è il più grande insegnamento che ha avuto in eredità da suo padre? «Impegnarsi fino in fondo nelle cose che si fanno».
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