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di GIOVANNI IAQUINTA
Il 25 gennaio 2011 non è accaduta una cosa di poca importanza a San Giovanni in Fiore. È una data che nessuno potrà mai dimenticare, cancellare; un giorno che resterà indelebile nella coscienza di tutti, nella storia della nostra città. Per questo, dopo un silenzio necessario, ma sofferto, è arrivato il momento di fare chiarezza, di raccontare i fatti. Perché alla fine non ci sia anche una sola persona che non sappia quel che realmente è accaduto. Chi è stato portato alla cronaca nazionale (Gli operatori di quartiere, Sial e Cooperative) non è un vegetale, non è fatto di carta straccia. Non sono né straccioni – come ama definirli un eminentissimo politico locale, facendo ricorso a un rinnovato francescanesimo, manierato e salottiero, né di marmo. Forse c’è qualcuno che li guarda dall’alto in basso, forse il livello raggiunto, la qualità che riesce ad esprimere ognuno di loro non vale la pena di essere presa in considerazione, forse è la loro stessa vita, come in tanti continuano a ripetere – che è una vita di scarto, insignificante, solo di fastidio per la nostra Comunità. Ma hanno una dignità, che pure è considerata di serie B, e c’è. È grande, batte forte, pulita, costruita con la stessa stoffa dei loro sogni, di un solo sogno in fondo, che è quello di dire ogni giorno che anch’essi ci sono e vogliono mettersi al servizio di un progetto collettivo: lavorare, prima di tutto, e servire gli altri. È proprio questa la ragione che li ha portati a sfogarsi, a gridare senza sfiorare nessuno, composti e addolorati, portando alla luce la sensibilità toccata, turbata, umiliata, offesa in mille modi. No, non pensano di meritarlo. Non lo meritano né lo meritano i figli, le loro famiglie, che rimangono perbene, esattamente come i figli e le famiglie degli altri, di tutti gli altri. In Parlamento, a proposito dei fantomatici fatti cruenti che si stavano consumando in quelle ore a San Giovanni in Fiore, qualcuno ha parlato di «un episodio gravissimo che mette in evidenza la responsabilità da parte di quanti utilizzano il bisogno della gente con fini di pura speculazione politica, con esercizio della democrazia fortemente compromesso, umiliato, calpestato». Allora ci domandiamo: Le clientele, le oligarchie, il killeraggio permanente del dibattito interno ai partiti, con padri fondatori che continuano ad andar via, mentre altri fanno finta di nulla e mettono la testa sotto la sabbia come gli struzzi, cosa sono? E la morte nella sostanza di partiti democratici sulla carta, a parole, cos’è? E il commissariamento che si sta consumando tristemente giorno dopo giorno forse è esaltazione della democrazia? E quel prodigarsi insistito per tutti a parole, sistemando poi nei fatti i figli dei servi e dei colonnelli di partiti vecchi e logori, ormai senz’anima, che sono? Per caso un motore, uno straordinario additivo, incentivo miracoloso della democrazia? E non solo, della giustizia, dell’uguaglianza, della libertà? Per favore, diciamola una cosa di sinistra. Una sola, una soltanto. Ma San Giovanni in Fiore è ubicato nel Corno d’Africa o fa parte di uno straordinario Paese, l’Italia, che ha inscritto nei principi fondamentali della sua Costituzione che la “sovranità appartiene al popolo”? Ed è al popolo che spetta ogni decisione, è il popolo che deve decidere sempre? O, evidentemente predicando bene e razzolando male, vogliamo far finta che non esiste l’elezione diretta del sindaco, ritornando al tempo della scelta del primo cittadino fuoriuscita dal cilindro di qualche rais? È un fatto brutto, un vulnus per la democrazia che rimarrà come una macchia e funzionerà come il sangue dei martiri, che si è rivelato seme per nuovi cristiani nella costruzione della straordinaria storia della Chiesa. Si è parlato di “rigurgiti fascisti, di “aggressioni squadriste”, di atteggiamenti e comportamenti persino paragonabili alle consuetudini mafiose, alla ‘ndrangheta. Qualcun altro ha parlato di «clima di odio e di violenza che viene alimentato in città». Altri ancora di paragone con il tempo del fascismo per «l’aggressività, la violenza e la sopraffazione». Che tristezza, che miseria, che sconcerto! Abbiamo dovuto aspettare così tanto tempo per convincerci che chi fomentava le piazze (e lo faceva cinicamente lobotomizzando e telecomandando le persone) negli anni passati era un pacifista non violento, un garante per eccellenza delle Istituzioni e dell’ordine pubblico, mentre oggi, se accade che un proletario, un operaio, una persona debole nella catena sociale pianga per la prospettiva preoccupante di un futuro incerto, e ancor prima, per la caduta di un sindaco onesto, amico della povera gente e progressista nei fatti (dà fastidio, questo, vero?) e protesti civilmente davanti a civilissime e intelligenti forze dell’ordine che ringraziamo per il lavoro svolto e la pazienza, improvvisamente diventa un violento, un teppista, un criminale, in breve, un delinquente. E no, così non va, è gravissimo. Non si può accettare. Bisogna dire no e ribellarsi a questa logica irresponsabile. E a chi la teorizza, facendola mettere in pratica alle truppe cammellate, è arrivato il tempo di ricordare che bisogna «tremare al pensiero di una rivoluzione in atto, che i proletari anche a San Giovanni in Fiore non hanno che da perdere le loro catene, che hanno un mondo da guadagnare». Questo è accaduto, questo è giusto che la gente sappia. «Questo è stato, queste parole bisogna scolpirle nel cuore, stando in casa, andando per le vie. E ripetetele ai figli». Che sono liberi e vogliono crescere liberamente, diventando artefici del proprio destino, senza più padroni e padrini!
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