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Ieri l’arresto di tre cittadini marocchini tra i quali l’imam della comunità di Sellia Marina, un centro sulla costa ionica tra Catanzaro e Crotone.
I tre, l’imam M’Hamed Garouan, di 57 anni; il figlio Brahim, di 25, e Younes Dahhaki, di 28, sono accusati di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale, per avere scaricato da siti inneggianti alla jihad vari documenti e materiale informatico con le istruzioni sulla preparazione e l’utilizzo di esplosivi e di armi, oltre alle modalità operative per compiere azioni violente ed atti di terrorismo.
Gli arrestati avevano anche realizzato un video nel quale erano riportate dettagliatamente le tecniche per diventare un cecchino, per realizzare una cintura esplosiva per azioni kamikaze e come preparare un ordigno per attaccare i mezzi militari dei Paesi occidentali in Iraq. Nel video erano riproposte anche immagini tratte dai siti islamici più oltranzisti con l’esecuzione di alcuni militari iracheni per mano degli ‘insorti’, oltre agli effetti pratici degli ordigni sui blindati dell’esercito americano.
Nel corso delle perquisizioni, che hanno riguardato anche altre nove persone indagate in stato di libertà, gli investigatori hanno scoperto 300 cd nuovi che, secondo l’accusa, avrebbero dovuto essere masterizzati con le immagini del manuale e poi fatti girare per gli adepti. Un ruolo fondamentale nell’opera di diffusione e proselitismo, l’aveva l’imam che sfruttava il suo ruolo di guida all’interno della moschea di Sellia per lanciare anatemi contro i Paesi occidentali invitando alla jihad. Discorsi, i suoi, talvolta talmente violenti – hanno detto in conferenza stampa i magistrati – da lasciare perplessi i suoi stessi fedeli. A provvedere alla ricerca sul web del materiale da diffondere era il figlio, esperto di tecniche informatiche, che utilizzava anche dei sistemi di criptazione per nascondere messaggi all’interno di foto apparentemente innocue.
Il terzo arrestato, Dahhaki, che per anni ha vissuto nella zona di Sellia Marina, si è poi trasferito a Gizzeria, nel lametino, dove gestisce una macelleria islamica. Secondo l’accusa sarebbe stato il trait-d’union tra le opposte coste calabresi nell’opera di diffusione del materiale. In una telefonata intercettata l’uomo si augura che «Allah mi dia la possibilità di morire da martire» mentre con il suo interlocutore parlerebbe, sempre secondo la traduzione degli investigatori, di una cintura esplosiva da kamikaze. Ma dall’inchiesta, avviata nel 2007 su segnalazione dei servizi centrali antiterrorismo e dell’Aisi e condotta dalla Digos e dalla polizia postale, non sono emersi piani concreti di attentati, nè è stato trovato esplosivo.
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