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A Falerna al convegno organizzato da Caritas Calabria e dall’Ufficio regionale di Pastorale della Salute è stata ribadita la priorità antropologica delle cure e bocciata la «pseudo cultura» secondo la quale «tutto deve produrre profitto, anche la malattia». «Non siamo qui per cavalcare l’onda mediatica del momento» ha premesso il delegato regionale Caritas, don Ennio Stamile.
I rappresentanti delle dodici diocesi calabresi sono arrivati invece per confrontarsi sull’emergenza che sta condizionando la vita delle loro comunità e il primo interrogativo posto da Stamile è stato: «Come mai tanti calabresi sono costretti a emigrare, non solo per il lavoro che non c’è ma anche per la salute?», proponendo di contro una delle più note parabole evangeliche: «Il buon samaritano offre due denari all’albergatore perché si prenda cura dell’uomo bastonato: in Calabria il fiume di denaro pubblico speso per la sanità per che cosa è stato investito?».
Nella relazione introduttiva il delegato Caritas cita anche la relazione d’indagine Serra-Riccio del 2008 sulla sanità regionale e sono gli errori del passato e i rischi del presente a preoccupare la Chiesa: «Ora – ha aggiunto infatti Stamile – ci troviamo a dover porre rimedio, con la conseguenza che l’urgenza di tagliare rischia di far perdere di vista quei servizi atti a garantire e tutelare il diritto alla salute pubblica previsto e sancito anche dalla nostra Carta Fondamentale».

Anche don Antonio Martello, direttore dell’Ufficio regionale di pastorale della salute, lancia un monito chiaro: «Se c’è un campo dove investire è quello della sanità, magari tagliando i super stipendi di direttori e commissari». Questo perché, dice, «non c’è etica sanitaria senza etica della giustizia». E giustizia è «assicurare il diritto equo e a tutti alla salute e alla vita» ma anche quello «a non risparmiare sulla pelle della gente tagliando servizi e posti letto in modo clientelare, agevolando questo o quel politico locale che ha portato più voti di altri».
Dall’ombra del clientelismo in questa fase di riforme ha rassicurato Gianluigi Scarfidi, dirigente generale vicario del dipartimento regionale Sanità: «Si sta facendo uno sforzo di razionalizzazione che non guarda in faccia nessuno e infatti la zona d’origine del Governatore è quella che pagherà un prezzo altissimo». Del resto, ha aggiunto, «ci troviamo sotto tutela del Governo nazionale, né il Consiglio né la Giunta regionale possono legiferare sulla sanità, tanto che siamo come scolari che devono portare ogni settimana il compito a Roma. Abbiamo ereditato un ritardo nell’attuazione del piano che ci è già costato 800 milioni del fondo di premialità: non possiamo permetterci di restare indietro».
Renato Guzzardi, docente Unical e presidente del Nucleo di valutazione dell’Azienda ospedaliera universitaria di Salerno, ha offerto rilievi statistici che hanno guidato la discussione di ieri: «In Calabria – ha detto – si usa il day hospital per non pagare il ticket sulle analisi, tanto che al Mater Domini di Catanzaro la finalità diagnostica ricorre per il 93% dei casi: in Piemonte è ferma al 17%. La frattura al femore è operata entro due giorni nell’83% dei casi a Bolzano, nel 21% in Calabria. In Toscana il 49% degli interventi di colecisti viene fatto in laparoscopia, in Calabria il dato crolla allo 0,8%. E sono i calabresi ad avere la spesa farmaceutica più alta d’Italia: 277 euro annui pro capite. In dodici mesi sono 50 mila le persone che vanno a curarsi fuori regione, con un impatto economico di 250 milioni di euro e ricadute sulla qualità della vita». Anche la Chiesa, ha sottolineato don Antonio Martello, è chiamata a fare la sua parte: si tratta di «umanizzare sia i rapporti quotidiano con i malati che quelli con i medici e gli infermieri» e di riscoprire le proprie figure ministeriali e lo «spirito missionario» che le contraddistingue.

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