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di EMANUELE VERNAVA’
CHE si dovesse arrivare a lottare addirittura con un referendum sia pure aziendale per stabilire chi ha ragione, tra Marchionne e la Fiom, mi sembra un’ enormità. Il casus belli mi sembra talmente minimo, che veramente sarebbe stato meglio conservare le energie per problemi un pochino più importanti. Per esempio, stabilire una volta per tutte chi deve sostenere gli oneri sociali e previdenziali dei lavoratori, se lo Stato o il Datore di lavoro. Prima, però, analizziamo la causa prossima dello scontro. La Fiat, come tutte le aziende piccole e grandi, soffre di un male che potrebbe portarla alla chiusura in Italia, avendo trovato ossigeno al momento nella Crysler negli USA. Questo male è il crollo delle vendite e, quindi, il crollo dell’occupaziopne, momentaneamente tamponata con la cassa integrazione. Il nuovo Ad Fiat, Marchionne, ha cercato di capire quale sia la causa del crollo delle vendite , e, a contatto con il mondo pù prammatico e meno ideologico degli USA, ha pensato di individuarla essenzialmente nell’assenteismo dei lavoratori e in altri comportamenti “arroganti” della Fiom, che la cronaca ci ha descritti molto minutamente. In realtà il mondo della produzione è accerchiato da tre diversi terribili pericoli, quali la crisi finanziaria mondiale, gli alti costi del lavoro nei Paesi occidentali, la concorrenza asiatica coi bassissimi costi di produzione, oltre naturalmente al veloce approssimarsi allla saturazione dei mercati. Che Marchionne pensi, invece, che una delle cause del crollo del mercato Fiat auto in Italia sia dovuto al comportamento “ideologico” della Fiom, a me sembra veramente una caduta d’ intelligenza della persona, che vela la sua immagine di manager, a cui tutti, sicuramente anche Landini e gli altri fieri oppositori senza dirlo, guardarono con simpatia e nuova speranza nel futuro della Fiat e nel mondo del lavoro da noi. La Fiat, che esce dalla contrattazione nazionale e impone la contrattazione azienda per azienda, è qualcosa che è fuori dalle logiche relazionali del mondo del lavoro. Se la cosa non dovesse rientrare, potremmo avvitarci in una turbolenza di comportamenti “privatistici” da parte delle altre aziende piccole e grandi, che non troviamo più dall’avvento dell’era industriale. Neppure nell’era feudale troviamo qualcosa di simile, d’un rapporto “privato” tra feudatario e servo della gleba, in quanto anche allora questi rapporti erano regolati da norme che valevano per tutto lo Stato. Ma non divaghiamo. Cipputi, a sua volta, quello classico e che non si piega davanti al “padrone”, vede, nel fatto che Marchionne gli riduca i dieci minuti di riposo pur pagandoli, gli chieda di ridurre l’assenteismo per malattia, quello di “stamattina non mi sento bene”, soprattutto a ridosso di giorni festivi o di riposo per fare ponte, una violazione della proprià dignità e libertà, come Bruto e Cassio con Cesare. In realtà Marchionne e Cipputi, che non credo dormano sonni tranquilli né l’uno né l’altro, non si accorgono che veramente sono come i capponi di Renzo, che si beccano senza sapere che Renzo li sta portando per farne fare un gran ragù all’Azzeccagarbugli. Nel nostro casol’Azzeccagrabugli è la politica, che si sta mangiando tutto, spesso spiegando la “grida” al cliente sbagliato. Come, per esempio, quando lo Stato cerca di spiegare agli studenti, ai disoccupati, a chi piange nei talks shows televisivi mentre racconta storie impossibili di miseria e d’ingiustizia, che è stata fatta la tale legge, il tale provvedimento, ecc. per andare incontro a quei bisogni, senza che succeda niente né immediatamente né mai. Ma tornando a ragionare, è evidente che la lotta tra Marchionne e la Fiom deve avere un mediatore, non proprio alla Giolitti dei primi del ‘900, quello del laissez-faire tra Lavoro e Capitale, ma che intervenga con i soldi dello Stato per mettere in grado Marchionne e Cipputi di continuare a vivere in maniera “normale”. E non mi riferisco agli “aiuti” dello Stato, quelli all’assistenzialismo, agli “strumenti di democrazia” – partiti, stampa, cultutura-, ma a quelli che per esempio Obama ha dato alla Fiat Crysler, con obbligo di restituzione. A poprosito degli “aiuti” alla stampa, ai partiti, alla cultura ( pseudocultura che altera il naturale evolversi della dialettica tra i sofisti nostrani), sarebbe ora che gli Organi di controllo, sia di responsabilità contabile che costituzionale, intervenissero una volta per tutte, per riportare le cose nell’ambito della legalità, civile e costituzionale, di cui tutti ci riempiamo la bocca nelle nostre affabulazioni pubbliche. Devono intervenire anche per la violazione di Leggi referendarie, come quella sull’abolizione dei finanziamenti ai partiti. Che le aziende paghino troppo allo Stato, è cosa risaputa. Pagano troppe tasse come persona giuridica, ma pagano anche oneri, quelli sociali e previdenziali ai lavoratori, che non si capisce perché debbano gravare su di esse e non sullo Stato vista la sua “generosità” come prima dicevamo. Facciamo una riflessione su questo, la facciano anche i sindacati. Se un’operaia va in maternità, sicuramente dev’essere garantita nei suoi diritti previdenziali e nello stipendio-salario, ma queste indennità le deve corrispondere chi ne riceve il beneficio più immediato ed evidente. Come direbbe il mio amico Francesco Bochicchio, chi ha un interesse “specifico”. L’azienda” ha solo un interesse “generale” nei riguardi della persona del lavoratore. Lo Stato, invece, ha una responsabilità diretta nei riguardi della persona, cui deve far fronte attraverso gli strumenti di cui dispone secondo la Costituzione (vedi artt. 3 e 9). Ora la tassazione della ricchezza deve servire allo Stato per soddisfare i bisogni della persona per quanto previsto dagli artt.1, 3, 9 citati, chiaramente direttamente e indirettamente ( in questo secondo caso quando sostiene con i soldi le imprese che dànno lavoro). A questa “proposta”, necessariamente “spiegata” in maniera breve sperando che non diventi perciò “oscura”, l’avveduto interlocutore opporrebbe, che in questo modo la spesa dello Stato aumenterebbe a dismisura, tanto da obbligarlo a far crescere la tassazione. Ma io al mondo del lavoro ed a quello delle imprese suggerisco di chiedere a questi soloni dell’economia, perché mai lo Stato debba preoccuparsi di “aiutare” la stampa, la cultura, i servizi occupando sempre più gente, e non quelli, che con le loro mani, la loro schiena e la loro rinuncia a fare un mestiere più prestigioso e gratificante, garantiscono al mondo dei colletti e cravatta di costruirsi uno status sociale spesso tronfiamente pretenzioso. A chi avesse dimenticato, cari “politici”, che i lavoratori dell’agricoltura e della industria sono quelli che procurano il pane, la casa e la macchina a tutti, anche agli addetti ai servizi, vorrei consigliare di non comportarsi con loro come con classi sociali inferiori. E’ proprio vero che da noi è anora vivo molto del mondo feudale, un’infinità di servi della gleba e mercanti apolidi, e uno sparuto numero di “civili” che vive del lavoro di quelli. Non ci credete? Controllate nei Paesi “democratici”, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, ecc. Là il lavoratore della fabbrica guadagna più dell’insegnante, anche se quest’ultimo non se la passa proprio male, come da noi.
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