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CRACO – L’orgoglio della desolazione. Se si potesse e dovesse scattare in punta di inchiostro una fotografia di quel che resta di Craco, saremmo tenuti davvero a raccontare per immagini forti che l’approdo in questo luogo dell’anima e per l’anima già sconfigge qualsiasi idea di qualsiasi e qualsivoglia gestione normale o anomala dei rifiuti del mondo. Che qui, invece, a Craco Vecchia siamo nei resti tutt’altro che fatiscenti, nonostante un po’ lo siamo davvero a scavare oltre i ruderi della cittadina, di una comunità. In una civiltà. Oltre i confini imposti dello spazio e del tempo. Ai margini del consumo, si trova la vecchia Craco. Uno dei paesi abbandonati di quest’Italia per la verità tutta abbandonata. E, per sperimentare la desolazione di oggi, non si può che narrare delle origini intangibili ma visibili di questa fuga dell’umanità. Per sapere da cosa può dipendere il futuro. Era il 1963, quando per una frana il borgo venne fatto evacuare. Gli abitanti dei rioni antichi furono allontanati dall’epicentro della paura. La popolazione di Craco fu spostata, trascinata via dal settore pericolo. Che altri cedimenti avrebbero potuto dare vittime ulteriori alla storia. Il punto è che, nonostante l’azione sia servita a evitare danni all’incolumità generale e collettiva, evidentemente al contrario di scelte intraprese in troppi altri punti italici, qui ricostruzione eccetera mai sono avvenute. I resti di palazzi a metà, dunque, di case devastate prima dallo smottamento e di seguito dall’incuria portano in questo spicchio di terra fra cielo e verde centinaia e migliaia di visitatori. Fra i quali turisti stranieri in piccola dose. Tanto da far dire al Wmf (World Monuments fund) che Craco, tra l’altro insieme all’altra lucana Oppido Lucano – di fascino diverso ma irresistibile per certi versi anche questa – sono “monumenti mondiali da salvare”. Craco, Oppido e la laziale Ponte Lucano sono insomma le tre località italiane che fanno parte delle lista planetaria della lista dei “siti” in pericolo. Da diversi anni, dopo che si è tralasciato di pensare alla agricoltura offerta dal sottopancia del borgo fatto di marginalità, da quando comunque la terra difronte al paese crollato non è stata più il punto principale di riferimento dell’analisi economica, si è ripensato al fatto che nella salite e discese di Craco Vecchia, per esempio, è stato girato il “Cristo si è fermato ad Eboli” di Rosi. Ma non solo. Basti solamente ricordare il sicuramente più recente “The Passion”. Con questo principio, e per rispondere a questa vocazione che comunque è il risultato del lavorio della desolazione, di un orgoglio del possesso della marginalità la Craco che resta, ma sempre dei ruderi si deve parlare, è nata la spinta a puntare su una economia che se trattata bene e coi quanti foderati di attenzioni non è inquinante: il turismo culturale. Cioè l’amministrazione comunale, intanto, ha puntato sulla gestione delle proprietà accattivanti della Craco a forma e forza di set cinematografico. Con l’avvio di percorsi culturali, a scopo turistico, che rispondano alla esigenza dello stesso turismo di qualità di capire la storia millenaria del borgo abbandonato nel Novecento. In alcuni periodi dell’anno, inoltre, sono organizzate manifestazioni, sostenute da un importantissimo e strategico centro multimediale pubblico, nate per rileggere lo spazio e il tempo. Come è ovvio, sempre si può migliorare. Se per il progresso realmente si vuole agire. Con questo corpo, utilizzando sentimenti che si possono ascoltare e trasferire anche solo dopo piccoli viaggi in uno dei luoghi più significativi dell’Italia che è stata, non a caso, Belpaese, si può facilmente scacciare l’inquietudine data da altre ipotesi di sfruttamento. Riflettere meglio su un futuro di nucleare e scorie e rifiuti e altro ancora.
Nunzio Festa
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