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di FRANCESCO BOCHICCHIO
Il Parlamento inglese ha bocciato l’ipotesi di interventi draconiani sui “bonus” dei “manager” e quindi di porre limiti stringenti in materia, ma la bocciatura non è stata affatto unanime: vi è stato il voto contrario, estremamente significativo, dei laburisti. Il voto contrario dei laburisti prefigura una sinistra dura e coerente, ma con contenuti non da condividere, in quanto ha ad oggetto un istituto di incentivazione economica a favore di chi dirige l’impresa. L’incentivo è fondamentale in un sistema capitalistico, basato sulla massimizzazione del profitto e quindi sulla partecipazione agli effetti di tale massimizzazione a favore degli elementi di spicco dell’impresa, ma qualsivoglia sistema economico richiede incentivi individuali, proprio per la natura dell’economia, ruotante intorno all’utile e quindi all’interesse, e la storia ha dimostrato che sistemi basati sulla socialità possono pure funzionare ma a condizione che la socialità non sia pura -come dimostra il ricorso, pur temporaneo e strumentale della rivoluzione russa, nei primi anni ‘20, alla NEP, basata sulla valorizzazione della piccola proprietà contadina. In ogni caso, in un momento, quale quello attuale, in cui il sistema capitalistico si rivela senza alternativa, il ruolo di una sinistra socialdemocratica rigorosa a favore della tutela dei ceti deboli e di un controllo dell’iniziativa imprenditoriale a mezzo di programmazione, non può prescindere da condizioni di efficienza del sistema, criteri di efficienza inimmaginabili senza incentivi. Il discorso decisivo è piuttosto quello di ancorare gli incentivi ad elementi razionali, vale a dire non solo a fattori di vantaggi e di risultati positivi a breve, ma anche a valori aziendali a medio e lungo termine: Tremonti a suo tempo pose il problema in termini di rapporti tra conto profitti e perdite e patrimonio aziendale, e si tratta come al solito di termini del tutto impropri in quanto il patrimonio aziendale è determinato alla lunga dai risultati dei vari esercizi economici; il vero problema è quello di individuare gli elementi idonei a rappresentare il valore aziendale non solo a breve ma anche a medio termine. La Banca d’Italia per le banche sta cercando meritoriamente di individuare tali elementi. Il problema è centrale ed è quello di individuare l’essenza dell’efficienza aziendale: solo in tal modo si può sfuggire da impostazioni populistiche e moralistiche nell’approccio all’economia. Marchionne è stato criticato per l’alta remunerazione, con elevati incentivi, a fronte della linea dura nei confronti degli operai: è un approccio criticabile, in quanto Marchionne è del tutto elogiabile nel momento in cui ha raggiunto risultati positivi per la Fiat, solo che tali risultati positivi devono coesistere con una tutela del lavoro, ma i risultati positivi sono necessari per la stessa tutela del lavoro. Il vero nodo è quello di non rendere i risultati positivi incompatibili con una tutela del lavoro e quindi di rifuggire da una visione unilaterale dei primi, in ogni caso essenziali. Marchionne non deve essere criticato perché viene premiato generosamente per i risultati positivi arrecati e, a monte, nemmeno perché raggiunge tali risultati positivi, ma solo perché persegue tali risultati positivi in modo unilaterale e penalizzando gli altri fattori pur essenziali per l’azienda. Da qui si può partire per un approccio generale alla relazioni sindacali ed alla loro riforma: l’efficienza aziendale è un valore assoluto in quanto consente anche la tutela del lavoro, mentre occorre evitare scappatoie di chi si disinteressa dell’efficienza aziendale, convinto di far pagare il costo al lavoro ed agli altri fattori coinvolti. Un approccio, non moralistico e non populistico, ma estremamente rigoroso, al problema degli incentivi aziendali è importante anche per moderne e non punitive relazioni sindacali. In sintesi, è estremamente importante che in Europa spiri un’aria veramente socialdemocratica, tesa a correggere la storture del sistema capitalistico ed a introdurre misure effettivamente sociali: ciò a differenza dell’Italia dove la sinistra è diventata liberale e quindi condivide l’approccio conservatore secondo cui le riforme da inserire sono quelle tese a ridimensionare drasticamente le conquiste sociali, di modo che il riformismo è diventato una versione del conservatorismo e del liberismo. Tale aria socialdemocratica deve essere di rigore ed anche conflittuale nei confronti delle imprese, ma senza dimenticare le leggi dell’economia in cui inserire un’impronta di socialità e in prospettiva anche, perché no, da socializzare, ma senza trascurare la loro essenza ed il valore dell’efficienza. La socialdemocrazia inglese, meritoria nell’impostazione generale, deve quindi correggere il tiro.
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