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di MARIATERESA LABANCA
MELFI – Ci sono dei nuovi elementi nella vicenda dei tre operai licenziati alla Fiat di Melfi. Elementi che, se confermati, aiuterebbero a leggere meglio quello che per molti è “il ricatto di Marchionne”, che a pochi giorni dal voto di Mirafiori ha minacciato, in caso di sconfitta al referendum, di andare a produrre altrove.
Elementi alla luce dei quali il provvedimento assunto nei confronti di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, nella notte tra il 6 e il 7 luglio scorso, sfociato poi nel licenziamento dei tre operai Sata, non sarebbe arrivato a caso. Si sarebbe trattato, invece, di un’ “espulsione” premeditata. L’azienda avrebbe deliberatamente voluto e cercato la testa di tre lavoratori della Sata.
«Come avete fatto a fare la vasca (fare la festa ndr) a quei tre?».
E’ questo quello che avrebbe chiesto un inscritto della Fismic – lo stesso sindacato a distanza di qualche mese ha accusato dalle colonne del settimanale Panorama i tre operai di aver cercato volontariamente il blocco della produzione, quella notte – a un suo delegato di fabbrica dopo i licenziamenti.
Lo stesso operaio che avrebbe parlato anche della necessità di fare un pò di “pulizia etnica”.
Un altro delegato, appartenente a un altro sindacato, (che quella famosa notte ha anche firmato il documento di solidarietà a favore dei tre licenziati) avrebbe avvisato Barozzino di «fare attenzione al delegato della Fismic, perché pericoloso e male intenzionato».
Così come ci sarebbero delle testimonianze in base alle quali si proverebbe che i carrelli, dopo l’incidente di quella notte, erano pieni e pronti a ripartire se solo l’azienda avesse voluto veramente riattivare la produzione.
E poi ancora un sms inviato a uno dei tre licenziati quaranta giorni prima del sei luglio da parte di un collega che avvisa: “attento a Tartaglia. E’ uno pericoloso”. Francesco Tartaglia è il gestore operativo che nel corso di quel corteo interno si era messo contro i tre operai, relazionando poi all’azienda su quanto accaduto, parlando di tentativo di sabotaggio.
Tutti elementi che i legali di Barozzino, Lamorte e Pignatelli hanno già raccolto e presentato alla Procura della Repubblica di Melfi e al giudice del lavoro, Amerigo Palma, che dovrà esprimersi sulla legittimità dei licenziamenti. E che potrebbero essere presi in considerazione già nella prossima udienza civile fissata per il 18 gennaio.
«Fatti gravi che se dovessero trovare conferma – dice oggi Giovanni Barozzino – mostrerebbero come intorno a noi era stata costruita una rete. L’intento era farci cadere per sbatterci fuori».
Nel frattempo gli stessi elementi sono stati raccolti e inviati anche alla redazione di “Annozero”.
Nel programma di Michele Santoro andato in onda qualche settimana fa, che proponeva un’inchiesta sul caso di Melfi, si era parlato anche dello stesso gestore operativo Francesco Tartaglia.
Di lui era stato detto che «arriverebbe a guadagnare un bel pò di soldi per un licenziamento».
«Altro che sabotaggio», aggiunge Barozzino. «Si spiegherebbe così perché “casualmente” sono stati licenziati proprio tre operai della Fiom, mentre altri provvedimenti simili venivano adottati negli altri stabilimenti del gruppo».
Il legale della Fiom, Paolo Pesacane, aggiunge: «Se questi nuovi elementi venissero confermati, riavvolgendo il nastro degli eventi che hanno segnato questi ultimi mesi, se ne potrebbe trarre un’unica conclusione: Melfi, Pomigliano e Mirafiori fanno parte di un’unica strategia».
m.labanca@luedi.it
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