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di PIETRO MANCINI
Incostituzionale, ma solo in parte. La discussa legge sul legittimo impedimento, quindi, non è stata abrogata ma, con sentenza interpretativa, la Corte Costituzionale ha stabilito che i giudici potranno decidere, caso per caso, la consistenza degli impegni del capo “pro tempore” del governo e valutare in quali casi convocarlo, comunque, in aula. Insomma, un italico compromesso, con un inevitabile seguito di discussioni e polemiche, nella attesa – iniziata con la traumatica separazione tra Fini e il proprietario di Mediaset e destinata a protrarsi per mesi – del beckettiano Godot, a cui affidare il tentativo di garantire al Paese un sistema politico e parlamentare più stabile. E, intanto, i problemi del Paese – da quelli economici a quelli dei lavoratori della Fiat, dai drammi del Sud alla crisi della giustizia – si aggravano e la produttività delle Camere, frammentate in gruppi e gruppuscoli, scende a livelli sempre più bassi. E, dunque, alcune delle personalità giuridiche più autorevoli del Paese, anche se la maggioranza di loro selezionata con criteri politici, non sono riusciti a dare una risposta certa e univoca su un problema, serio, ma non drammatico. Nessun “legittimo impedimento”. Saranno le toghe giudicanti a valutare la fondatezza, o meno, delle ragioni che, secondo i difensori del premier-imputato, impedirebbero la sua presenza nelle aule dei tribunali, dove si svolgeranno le udienze dei delicati processi, nei quali Silvio Berlusconi è imputato, accusato di reati commessi prima della sua discesa nel “teatrino” politico, nel lontano 1994. E la legge, licenziata a maggioranza dal Parlamento, sostanzialmente, è stata stravolta rispetto all’impianto, con cui era stata concepita dagli avvocati del capo del governo. Contenti Tonino Di Pietro, gli esponenti giustizialisti del Pd e anche il finiano Bocchino, che ha archiviato le precedenti posizioni dell’attuale presidente della Camera e dei parlamentari di Alleanza nazionale, che erano stati strenui garantisti con Cesare Previti, con Marcello Dell’Utri e con lo stesso Bocchino, votando tutte le leggi, ritenute “ad personam” dal centrosinistra. Si apre, adesso, una fase politica molto incerta e tesa, anche alla luce dell’osservazione dei due penalisti di Berlusconi, nonché parlamentari del Pdl, Ghedini e Longo, i quali hanno perso la battaglia nel Palazzo della Consulta, a due passi dal Quirinale. E’ impossibile la leale collaborazione con un’autorità giudiziaria, il tribunale di Milano, che – sostengono gli avvocati del Cavaliere – ha disconosciuto legittimità di impedimento persino al Consiglio dei ministri, che aveva all’ordine del giorno un problema drammatico, l’emergenza-rifiuti a Napoli. In un Paese normale, non si dovrebbe brindare né minacciare sconquassi in seguito al pronunciamento di un alto collegio di giuristi. Ma non possiamo dimenticare che, a partire dalla fine traumatica dei partiti della Prima Repubblica, i nuovi gruppi politici, gli osservatori e gli stessi cittadini, in parte sgomenti e in parte ben maggiore distanti dal “teatrino” romano, somigliano a figurine tragicomiche, che assistono a decisioni spesso molto discutibili, se non grottesche, dell’ordine giudiziario. In Calabria, non abbiamo dimenticato le clamorose inchieste, gli avvisi di garanzia, gli arresti, gli articoloni dei giornali, i programmi di Santoro sulle clamorose istruttorie, aperte da un magistrato napoletano, in servizio a Catanzaro, Luigi De Magistris. Ebbene, mentre quel giudice è diventato, nel 2009, europarlamentare del partito di Di Pietro, di cui adesso contesta la leadership, qualche mese fa, una sua ex collega ha sostenuto che De Magistris avrebbe “cercato il clamore dei mass media, senza avere prove” e spendendo 9 milioni di euro per consulenti esterni alla Procura di Catanzaro. E, nell’inchiesta “Why not”, la dottoressa Mellace ha mandato assolti 26 dei 34 imputati (gli indagati, inizialmente, erano 150!). E ricordiamo che il governo Prodi è caduto, 3 anni fa, in seguito alle dimissioni del Guardasigilli, Mastella, dopo che contro il politico sannita, sua moglie e molti dirigenti del suo partito, l’Udeur, erano state formulate le accuse di aver concusso l’allora presidente della Campania, Bassolino, per aver negoziato con lui una nomina in un ente pubblico di quella regione. Alla luce di questi e altri precedenti, come la dichiarazione resa da Di Pietro quando era pubblico ministero a Milano (“Berlusconi ? Io lo spezzo!”), si comprendono i timori sulle conseguenze della facoltà – affidata ai giudici di tribunali, come quello del capoluogo lombardo, mai apparsi benevoli e “terzi” con il capo del partito di maggioranza relativa – di intervenire, in pratica, sui tempi e sulle priorità dell’attività del Governo. E – si tratta solo di una coincidenza? – proprio ieri la Procura di Milano ha indagato il presidente del Consiglio, Lele Mora ed Emilio Fede per le gravi ipotesi di reato “di concussione e di favoreggiamento della prostituzione minorile” nell’ambito dell’ inchiesta sulla vicenda della avvenente escort marocchina Ruby, la sedicente “nipote di Mubarak”. Pertanto, non condividiamo l’ottimismo del premier e di quanti si dicono certi che la pronuncia della Corte, e gli sviluppi del “Rubygate”, non avrà ripercussioni sulle sorti della legislatura, del governo e sui destini, politico e giudiziario, di Silvio Berlusconi. Auspichiamo che tornino in primo piano i reali e drammatici problemi del Paese. E che i settori più responsabili dell’ opposizione convincano la sinistra a liberarsi dall’ossessione giudiziaria come scorciatoia per contrastare e riuscire a cacciare Silvio Berlusconi. “Il Caimano è di nuovo imputato !”, esultava ieri “Il Fatto Quotidiano”, pubblicando il disegno del Grande Nemico in catene. Occorrerebbe un grande sforzo per ridare alla Politica la dignità e la credibilità per tentare di rendere i partiti più trasparenti e le istituzioni più forti, più libere e meno condizionate da quei settori della giustizia, che “lottano” contro qualcuno e non giudicano serenamente sulla sorte degli imputati, e dall’abuso mediatico dei processi e delle inchieste. Dubitiamo fortemente che la sentenza compromissoria della Consulta e le reazioni politiche, che ha provocato e provocherà, indeboliscano il bipolarismo rissoso e muscolare e incoraggino il dialogo tra le forze politiche e tra queste e gli elettori.

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