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Non si uccidono così anche i cavalli? è un film di Sidney Pollack del 1969. Nell’America in crisi degli anni ’30 un gruppo di persone, costrette a fare di tutto per vivere, partecipa ad una maratona di ballo in vista di un premio in soldi. Ballare per ore e ore, muoversi melanconicamente per necessità fino allo sfinimento; alcuni dopo ore si ritirano, altri stramazzano al suolo. Da qui la domanda: non si uccidono così anche i cavalli?

Pensate ora ad un operaio Fiat argentino, costretto a lavorare anche per dodici ore al giorno, per sei giorni a settimana, con i tendini infiammati, la schiena a pezzi e lacrime che scorrono giù lungo il viso per il dolore. Ma non si uccidono così anche i cavalli?
Veniamo al caso italiano, al nuovo contratto Fiat per gli operai di Mirafiori, dopo quello di Pomigliano, e alle analogie e differenze con il caso argentino.
Marchionne ha in testa un modello di governabilità del tipo “obbedire per competere”, che somiglia molto a quello argentino, e lo ha imposto di forza anche in Italia con la compiacenza di Cisl e Uil. Fuori dai piedi, quindi, i vecchi diritti, con l’imposizione della mordacchia per la riluttante Fiom; e via libera alla flessibilità spazio-temporale e al disciplinamento stretto degli operai.

In tempo di crisi, anche se la Fiat ha infilzato all’amo un piccolo investimento di 700 milioni di euro, non pochi sono disposti ad abboccare. E dal momento che il manager fa bene il suo lavoro, e sa che, minacciando di spostare la produzione verso nuovi “paradisi” dello sfruttamento, avrà più possibilità di imporre ciò che vuole ad un’italietta sempre pronta a genuflettersi ai piedi di un imprenditore globale, non c’è da meravigliarsi dei risultati dei referendum.

Ma, al di là di questo vecchio vizio d’arroganza della casa automobilistica, cerchiamo di capire quali sono le conseguenze dell’accordo sulla vita degli operai. L’operaio ideale che dovrebbe uscire dalla disciplina Marchionne dovrà parzialmente rinunciare al diritto di sciopero, accettare turni di lavoro umanamente insostenibili e straordinari sotto il ricatto di punizioni e licenziamenti, come già accade in Argentina.

A differenza dell’Italia, lì, però, gli operai sono pagati con un salario che per la realtà Argentina è alto: circa 4000 pesos è quello base (un maestro ne guadagna quasi 3000) che con gli straordinari arriva a circa 7000, quasi 1400 euro.
Tuttavia, quel salario, ha un costo umano enorme; a spiegarcelo sono gli stessi operai Fiat di Cordoba: anche se il contratto prevede otto ore giornaliere, con due pause da 15 minuti a cui si sommano i trenta della mensa a fine turno, gli straordinari sono diventati di ordinaria amministrazione.

Lo straordinario, secondo quanto stipula il contratto collettivo di lavoro e la legge laboral vigente, sono opzionali. Però in pratica, si utilizzano sottili meccanismi di pressione, che obbligano i lavoratori a sottomettersi a giornate di lavoro prolungate. In questo modo si viene inghiottiti dalla fabbrica alle sei del mattino e se ne esce dopo 12 ore; poi il tempo di tornare a casa, cenare e via a dormire, ogni giorno per sei giorni a settimana. Dopo un po’ di tempo iniziano i malanni fisici anche nel caso di operai giovani; sicché molti sono quelli che, nonostante i dolori lancinanti, non lasciano la linea per paura di perdere il posto.

Salario e miedo (paura) sono i termine che più di frequente ritornano nelle interviste con gli operai fiat di Cordoba, li usano per spiegare le ragioni per cui accettano quelle condizioni di lavoro. E’ necessario tenere presente, che l’esperienza degli anni ’90 ha lasciato la sua impronta nella memoria collettiva dei lavoratori. Con livelli di disoccupazione che superavano il 13% della PEA (Popolazione Economicamente Attiva) nel 1999 e la pauperizzazione crescente di milioni di lavoratori, il miedo, la paura, diventò un’arma fondamentale del capitale per imporre le sue condizioni di sfruttamento.
Anche così, oggi, nonostante il peso di quel passato e l’aggiunta di incentivi per favorire la fidelizzazione all’impresa, quel regime di prestazione psico-fisica, fatto di attenzione e forza fisica, che sfiancherebbe anche un giocatore di rugby, fa sì che il controllo della forza-lavoro vacilli di frequente.

Quasi ogni mese, spiega un operaio, la politica del “miedo” viene ribadita con le punizioni esemplari, ovvero, i licenziamenti utili non solo per allontanare le “pecore nere” ma anche per riportare alla docilità gli altri operai. I licenziati, però, non devono comparire come tali ma come dimissionari, perché la Fiat, nell’accordo siglato con il governo di Cordoba – in base alla legge 9727 del programma di promozione e sviluppo industriale della provincia- si impegnava a non licenziare in cambio di consistenti agevolazioni, come, ad esempio, un forte sconto sul costo dell’energia elettrica.

Fatta la legge trovato l’inganno: gli operai vanno via, nella maggior parte dei casi, con un foglio di dimissioni e un po’ di soldi in tasca, una sorta di incentivo all’uscita. Ma cerchiamo di capire come si è arrivati a questo e quali altre similitudini presenta il caso argentino con quello italiano. Nei primi anni ’90, in Argentina, sempre in tempo di crisi, così come in Italia oggi, si mandarono al macero una parte dei diritti sul lavoro per attrarre gli insediamenti delle multinazionali favorendo le contrattazioni di secondo livello, quelle aziendali. Da lì in poi le multinazionali dell’auto Fiat, Peugeot, Volswaghen, hanno potuto fare a Cordoba il bello e il cattivo tempo, ognuna con il suo contratto e con un solo sindacato (SMATA), che registra molti tesserati ma pochi consensi.

Anche in Argentina in quegli anni prevalse il discorso sull’efficacia degli investimenti per la ripresa economica ed occupazionale, trasformando gli sfruttatori in benefattori; anche lì si gonfiarono i dati sulla presunta ricaduta occupazionale e si dragarono in cambio vantaggi e incentivi.
Infondo tutti sanno, operai, sindacalisti e sociologi del lavoro, che in quelle fabbriche- dove il sistema di produzione è stato adeguato al World Class Manifacturing (WCM), il nuovo cavallo di troia ideato dai padroni del settore auto per ampliare controllo e disciplina sotto l’apparente neutralità delle esigenze produttive- le condizioni di lavoro sono peggiorate.

In linea, come racconta un operaio, per stanchezza capita di addormentarsi con la saldatrice in mano; e gli incidenti da accumulo di fatica aumentano di giorno in giorno. Per tamponare questi ed altri danni, la Fiat ha in loco delle cliniche e perfino un ospedale collocato proprio di fronte alla fabbrica d’auto. Questa rete di luoghi di cura è molto utile anche per contenere le informazioni e oscurare i dati sullo stato di salute degli operai, cosa che può sempre tornare utile nel caso in cui qualcuno si decida ad uscire allo scoperto e denunciare.
Questo è lo scenario che gli operai Fiat di Pomigliano e Mirafiori si troveranno a vivere nei prossimi mesi.

Lorena Capogrossi
Università di Cordoba-Argentina

Elisabetta Della Corte
Unical

Paolo Caputo
Unical

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