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di PIETRO SCOGNAMIGLIO Leggo, ascolto, apprendo. Con il beneficio del dubbio visto che nel luogo della discordia non ci sono mai entrato, pur essendo gestito da ragazzi che conosco. E’ una scelta. Non ho tessere partitiche, ma nemmeno l’intenzione di mettere nel portafoglio una stella rossa. Per conoscenza diretta posso affermare che i soci del Caffè Letterario potentino provengono dalle estrazioni ideologiche più trasversali, di centrodestra ce ne sono un bel po’. Poi c’è da dire che, per andare in giro, alla notte, tendenzialmente, preferisco il giorno. Amo spasmodicamente il rito del caffè al bar ed è proprio al bancone che ho iniziato a percepire il tema. Un amico barista mi ha incuriosito, illustrandomi alla buona quali sono le agevolazioni fiscali per i gestori dei suddetti circoli. Mi sono documentato. A partire da un decreto legislativo del 1991 lo Stato aiuta i «cittadini che si associano per sviluppare un comune interesse». E che magari allietano il perseguimento dei loro interessi dotando la loro sede di un bar, non aperto al pubblico, in cui la consumazione ha un regolare costo, nemmeno troppo al ribasso. Tra i vantaggi c’è una contabilità semplificata rispetto alle imprese commerciali e una significativa nicchia di privilegi per quanto riguarda l’Iva e le imposte dirette. Proprio perché – come si legge su www.arci.it – «non sono negozi». Zero introiti. E’ lo statuto Arci a imporlo, quando dice che «è fatto divieto di distribuire in forma diretta o indiretta gli utili o gli avanzi di gestione». Significa che gli eventuali incassi devono essere reinvestiti nelle attività dell’associazione. Dieci euro entrano e dieci escono, per farla semplice. E’ quello che prova a spiegare, a commento della nota che ha innescato il dibattito, il titolare del locale potentino. «Siamo un gruppo di ragazzi – scrive Massimo Delle Donne – che non ha più di 30 anni, che gestisce con passione questo circolo e ci dedica anima e corpo». Evidentemente si tratta di filantropi. Lavorano h24 e sostengono imponenti costi di gestione per organizzare eventi culturali, indirizzando ogni voce attiva del bilancio solo e soltanto alla copertura degli impegni economici sostenuti per la logistica. L’ingresso è riservato ai soli soci, ok. Ma che filtro all’accesso è una tessera da dieci euro all’anno? Il rischio che l’associazionismo sia nella sostanza fittizio sembra elevato. Auguro a Massimo e ai suoi collaboratori di avere sempre “tutte le carte a posto” ad ogni controllo. Ma alla filantropia fatico a credere. «Mi sono tesserato per dare una mano al giovane imprenditore dell’Arci – scrive un utente su Fb – e per partecipare alle sue iniziative degne di nota». Appunto. Intellettualmente avanzata, ma di una piccola impresa si tratta. Sono dalla parte del mio barista, imprenditore vero che qualche evento di musica live lo organizza anche lui. Forse risulta un po’ meno simpatico. Capita, quando hai un botto di tasse da pagare.
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